Il racconto dall’Irlanda di Olivier, tra speranza e ansia per la sua Valle d’Aosta

Olivier Bertholin fa l'infermiere a Cork. L'Irlanda ha preso spunto dall'Italia ed ha iniziato ad adottare le misure di contenimento in tempo: "Penso ad amici e colleghi in Valle".
Olivier Bertholin
Società

A volte basta attraversare una frontiera – una di quelle spesse e pesanti come gli anni della guerra civile – per ritrovarsi tra due approcci diametralmente opposti ad una situazione che ancora si fa fatica a concepire e della quale non si vede la fine. L’Irlanda è un’isola, ma dentro di lei ci sono due anime (almeno dal punto di vista governativo): una, quella dell’Irlanda del Nord, britannica, mentre l’altra, quella dell’Eire, più europea. Nell’attraversare quella frontiera c’è un abisso: da un lato l’approccio all’emergenza coronavirus del Regno Unito, di cui ci ha parlato Emanuele Giometto, dall’altro, ascoltando il racconto di Olivier Bertholin, una forte consapevolezza e senso di responsabilità che potrebbe salvare tante vite.

Anche Olivier è infermiere, da poco più di due anni lavora al Mate Private Hospital di Cork, la seconda città più grande della Repubblica d’Irlanda, dopo essere stato per circa due anni e mezzo ad Epson, vicino Londra. Attualmente, in tutto lo Stato sono stati registrati 292 casi di Covid-19 e due morti, con 5 ricoveri, anche se il numero dei tamponi eseguiti rimane basso per conservarli nel caso di una futura emergenza. Per la fine di marzo si prevedono 15.000 infetti.

Dopo la prima vittima, una donna di 74 anni, e quando i contagiati erano 34, il governo irlandese ha iniziato ad adottare alcune misure restrittive, come la chiusura delle scuole, dei cinema, dei voli verso alcuni paesi. Si consiglia di fare ricorso allo smart working e di mantenere le distanze di sicurezza”, racconta Olivier. Con le scuole chiuse, però, i più giovani si riversavano nei pub: “Sono stati chiusi anche quelli. Oggi [martedì 17 marzo, nda] è Saint Patrick’s Day e sono state annullate anche tutte le parate. La popolazione sta rispondendo bene, all’inizio c’è stato un assalto ai supermercati ma i ristoranti sono vuoti, credo che chiuderanno anche quelli e ci sarà un lockdown”.

Su questo l’Italia è stata di grande esempio: “Anch’io sono fiero di come abbia reagito il nostro Paese, nonostante alcuni errori iniziali. In Irlanda si sono mossi per tempo e questo potrebbe essere decisivo, anche se tutto potrebbe essere vanificato dalle mosse dello UK vista la vicinanza e gli scambi con l’Irlanda del Nord. In Valle d’Aosta non trovavo lavoro, poi dopo la Brexit sono venuto in Irlanda per restare in Europa, e mi ritengo fortunato di aver fatto questa scelta, anche perché qui il sistema sanitario è migliore di quello britannico”. Per far fronte ad alcune mancanze del governo irlandese e mobilitare la popolazione dal basso, rendendo più coscienti delle precauzioni da prendere, da un paio di settimane è nato il movimento #staythefuckhome, con relativo manifesto.

Dove lavora, in sala operatoria, Olivier spiega che si stanno cancellando gli interventi meno necessari, anche perché il piano per le emergenze dell’Health Service Executive è già stato studiato: “Tutti gli ospedali pubblici prenderanno in carico i positivi e, all’occorrenza, anche quelli privati. Il mio ospedale sarebbe il terzo, in caso di necessità o, altrimenti, noi infermieri verremo spostati negli ospedali pubblici. Già da un paio di settimane all’entrata del mio ospedale stanno facendo uno screening delle persone e l’accesso non è più consentito a parenti o esterni. Solo staff e pazienti”.

Sua moglie Abby è di Taiwan – un Paese che, nonostante la vicinanza con la Cina e l’altissima densità della popolazione, è stato in grado di mantenere dei numeri di contagio bassissimi – e lavora nel più grande ospedale di pubblico di Cork, in terapia intensiva, dove aveva avuto in cura un positivo al virus che, visto l’aggravarsi delle sue condizioni, era stato mandato a Dublino. Insieme cercano di vivere una vita il più isolata possibile, per evitare contatti al di fuori del lavoro. “Credo che i frutti di queste misure arriveranno, ma bisogna tenere la curva di crescita dei contagi bassa perché gli ospedali non possono far fronte ad un’emergenza come in Italia, in media ci sono meno posti in terapia intensiva, e poi sarà difficile per i medici decidere chi deve vivere e chi no”. La voce di Olivier trema nel dire queste parole. “Spaventa quello che accadrà dopo, la ripresa, ma anche il fatto che tutt’oggi la gente continua ad ammalarsi anche di altro e si rischia di trascurarli”.

Le preoccupazioni di natura più generale di Olivier nascondono quelle più personali: “Sono settimane intense dal punto di vista dell’ansia. Leggo quello che succede in Italia e in Valle d’Aosta, mi informo, forse troppo. Penso ai miei amici, ai miei colleghi, ai miei genitori: loro sono soggetti a rischio, anche se potessi tornare per Pasqua non lo farò per proteggerli”.

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