Emanuele Giometto, infermiere nel Regno Unito: “Vorrei essere in Italia ad aiutare anziché qui ad arrabbiarmi”

Il 28enne valdostano è infermiere ad Oxford: ha un punto di vista privilegiato e vive con stupore l’immobilismo britannico. “Fiero di come l’Italia ha affrontato la situazione”.
Emanuele Giometto
Società

Nel Regno Unito la confusione regna sovrana. A pochi giorni dal glaciale “abituatevi a perdere i vostri cari” di Boris Johnson e dalla teoria dell’immunità di gregge relativa al Covid-19, che ci era anche stata raccontata quasi in diretta da Stefano Massetto, ieri c’è stata una parziale inversione di marcia: il Primo Ministro “consiglia” di evitare luoghi affollati e di lavorare da casa, pur non prendendo alcuna misura in questo senso.

La politica di Londra rimane la stessa: meno tamponi, meno infetti. “Si vuole un po’ nascondere la situazione, manca una statistica dell’immagine reale”. Emanuele Giometto ha sicuramente un punto di vista privilegiato sulla situazione britannica: lui, valdostano, dal 2015 fa l’infermiere nel pronto soccorso dell’ospedale John Radcliffe di Oxford, e vive con la sua fidanzata spagnola. Ha quindi sotto gli occhi quello che sta accadendo in Italia e, da poco, in Spagna, e le misure che sono state prese dai due Paesi, ed il confronto con quello che sta vivendo sulla propria pelle in Gran Bretagna lo fa arrabbiare e preoccupare.

“Essere straniero all’estero amplifica la situazione. Perché non stanno facendo niente? Adesso siamo indietro di tre settimane rispetto all’Italia. Ti confesso che provo nervosismo di fronte a questo menefreghismo”.

In quanto infermiere del pronto soccorso, Emanuele è un po’ fatalista: “Sono stato sicuramente a contatto con persone infette”, dice. “Eseguo anche i tamponi, prendendo tutte le misure di sicurezza, ma qui funziona che li si fanno solo agli anziani che presentano sintomi, e ci vanno dalle 24 alle 48 ore per i risultati. Se arriva un giovane con febbre e tosse lo rimandano a casa”.

Ha appena smontato notte, il 28enne di Quart, ma nonostante tutto in qualche frangente ha voglia di scherzarci su: “Cambia tutto da un giorno all’altro. Sai cosa ci hanno appena detto? Che gli infermieri maschi devono tagliarsi la barba, in modo che le mascherine aderiscano di più”, dice ridendo. “Solo che le mascherine FFP3 non ci sono! Si continuano ad usare misure scarse se non pessime. Come raccontavo ad un mio amico, siamo come gli indiani che, con arco e frecce di legno, devono affrontare il piombo ed i proiettili dei cowboys”.

Anche se la politica di Downing Street è pressoché immobile e tutto è affidato al buonsenso della gente, Emanuele vive “da italiano”, recluso in casa e limitando gli spostamenti. “Però noi infermieri siamo il problema. Viviamo a contatto con il virus, ma nessuno ci porta la spesa o va in lavanderia al posto nostro. Siamo quindi costretti ad andare in giro, probabilmente portando anche l’infezione”.

Al momento, spiega, la situazione negli ospedali è sotto controllo, ma sarà da vedere se l’NHS reggerà nel caso di un’emergenza: “Il sistema sanitario britannico è una potenza mondiale, che secondo me andrebbe esportato in tutto il mondo. Il problema è che, nel caso di situazioni gravi, le decisioni non sono prese dalla singola azienda ospedaliera ma da una commissione nazionale. In questo momento, con l’assenza di linee guida, vengono a galla i punti deboli quali la carenza di risorse, strutture ed organizzazione. Ma il piano sembra palese: vogliono che la popolazione anziana muoia in modo da liberare risorse sanitarie che si stanno sempre più riducendo”.

Al lavoro, Emanuele si trova in un gruppo compatto con altri stranieri (e non solo) e può confrontarsi e farsi capire. Non mancano, però, da parte di alcuni le battute di cattivo gusto: “Sei italiano, hai il coronavirus. Sono allibito da tanta ignoranza, ma fiero di come l’Italia ha gestito la situazione”, dice con orgoglio. E con una punta di rammarico: “Vorrei essere in Italia ad aiutare anziché qui ad arrabbiarmi”.

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