Il racconto di Gabriele, tornato dall’America per l’emergenza coronavirus
Sarebbe dovuto tornare verso metà giugno dal suo anno all’estero a Winifred, cittadina statunitense del Montana, invece Gabriele Adorni, diciassettenne valdostano, ha dovuto anticipare il suo rientro a causa dell’emergenza Covid-19. “E’ stata davvero un’esperienza fantastica, alla quale ha contribuito in particolar modo la mia famiglia ospitante, una coppia che non potendo avere figli ospita diversi exchange students di anno in anno. Sono davvero delle persone meravigliose.” spiega Gabriele.
La situazione americana è molto diversa da quella in Italia, come racconta il ragazzo. “Nella mia contea non c’era neanche un infetto, quindi le restrizioni non erano rigide come quelle in Italia. La mia cittadina era poi molto piccola e il distanziamento sociale non era così complicato, basti pensare che la casa più vicina a quella dove abitavo io si trovava a più un miglio.” Inoltre, a parte la chiusura di bar e ristoranti, non sono state messe in atto vere e proprie restrizioni legali, ma si è fatto affidamento sul buon senso. “Potevo vedere amici e altre persone senza problemi, si percepiva una situazione di controllo e sicurezza. Per fare un esempio, la squadra di basket femminile della mia scuola è stata in trasferta in una città con diversi casi di covid-19 e dopo il rientro le ragazze hanno deciso di autoisolarsi per due settimane. Naturalmente la situazione era diversa nella città più grandi.”
Sul viaggio di ritorno Gabriele ha poi avuto impressioni contrastati durante i diversi scali, da aeroporti deserti a voli affollati “Partendo dal Montana ho trovato l’aeroporto praticamente vuoto e sul mio volo ci saranno state all’incirca venti persone. Il volo da Chicago invece era pieno ed ero circondato da altri passeggeri, però tutto sommato era tutto piuttosto organizzato e ci hanno fatti scendere per file, limitando i contatti, per quanto possibile. L’ultimo volo da Francoforte all’Italia è stato il più caotico, ci hanno fatti scendere tutti ammassati e aspettare diverso tempo sul pullman. Ci è stato poi richiesto di firmare un documento coi motivi del nostro arrivo e di certificare che fossimo a conoscenza dell’emergenza e ci assumessimo ogni responsabilità.”
E per quanto il suo anno all’estero non sia finito così tanto prima del dovuto, Gabriele avrebbe senza dubbio preferito portarlo a termine, invece di improvvisare un ritorno simile, come richiesto dalla sua associazione per ragioni di sicurezza. “Sarei stato molto più al sicuro in Montana, soprattutto considerando gli zero infetti della contea in cui mi trovavo”.