Pensieri di amici, colleghi e conoscenti, messaggi sui social, o rimbalzati di telefono in telefono. Tutto ciò che ha accompagnato il nome di Michel Munier, sin dalla sera di sabato scorso quando si è diffusa la notizia della sua prematura morte, dopo diversi giorni in condizioni disperate all’ospedale “Parini” a seguito di una caduta sugli sci, restituiva la contagiosa voglia di vivere di questo 44enne nato nella valle del Gran San Bernardo e che la vita aveva portato a Gressan. Per questo, i volti della tanta gente arrivata oggi, mercoledì 9 marzo, alla chiesa di Santo Stefano, per l’ultimo saluto, erano più sgomenti che mai, stretti tra il senso d’ingiustizia per la scomparsa di una persona benvoluta da tanti ed il peso degli interrogativi irrisolti.
Anche il sacerdote che celebra il rito accoglie il feretro, preceduto dal casco nero da Vigile del fuoco dell’uomo, portato a mano da un collega in divisa, sottolineando che Michel “ha lasciato tracce di amore” e “quelle rimarranno per sempre”. Nemmeno lui, però, riesce ad esentarsi dal riflettere a voce alta sul fatto che “ci lascia un fratello in modo inaspettato” e “non possiamo che stare vicino ai suoi cari”, ma “siamo così piccoli e poveri”. Quindi, l’officiante invoca il “Signore, affinché ci indichi lui il cammino e ci dica lui qualcosa”. Infine, prima di aprire la funzione, le parole che non rappresentano solo un’invocazione, ma suonano come l’eredità di Munier condivisa da tutti i presenti, dentro e fuori la chiesa: “ricordiamo con simpatia ed affetto Michel”.
Assieme ai colleghi effettivi (giunti non solo dal comando di corso Ivrea, ma anche da fuori regione: su alcune uniformi si notava la “patch” del comando di Torino) e volontari di buona parte dei distaccamenti della Valle, le giubbe colorate degli sport popolari, l’altro mondo che a cui Munier era naturalmente attaccato. Il fiolet era la sua disciplina, praticato nell’Etroubles, con la determinazione che soprattutto gli scontri all’ombra dei campanili valdostani sanno accendere. Un motore che aveva spinto il 44enne e la sua squadra fino alla conquista di uno “scudetto”, nella massima serie (individualmente, arrivò secondo al “Bâton d’or” nel 2017). Campione, ma con un’innata capacità di coinvolgere chiunque nel non prendersi sul serio, magari cantandoci sopra, davanti a un bicchiere in compagnia.
La nascita della sua famiglia aveva condotto Munier dalla “Coumba freida” all’Envers. Marito di Federica e papà di due figli piccoli, trovava nell’ambito familiare il presupposto e il completamento del suo mondo, totalmente proteso ad esserci e dare a al prossimo. Anche nel giorno dell’incidente che lo ha strappato alla vita, il 44enne stava trascorrendo del tempo con alcuni familiari, tutti assieme in occasione delle vacanze scolastiche di carnevale. Erano saliti a Pila, località ove la famiglia della consorte è conosciuta, perché gestisce un locale alla partenza delle piste. Mentre scendeva lungo il Leissé, la caduta improvvisa, battendo la testa sulla neve ghiacciata, e dopo i primi soccorsi il volo disperato in elicottero verso il “Parini”, senza più riprendersi.
Fino a sabato scorso, giorno che ha conclamato quella fine “in modo inaspettato”, sottoponendo alla peggior prova immaginabile chi gli era prossimo, la mamma Marilena e il papà Miotto, nonché i fratelli Pierre e Nicole, ma riunendo anche tutti coloro che erano parte del suo mondo attorno a quelle “tracce d’amore” indelebili, divenute naturali depositarie della contagiosa voglia di vivere di cui può raccontare (e racconta) chiunque abbia condiviso una serata, una canzone, un aperitivo, le urla su un campo seguendo il fiolet allontanarsi in aria, o dei concitati attimi su un mezzo dei Vigili del fuoco, con Michel Munier.