La storia di Ange Fey: “Da 35 anni accompagno la vita fino alla morte”

Da 35 anni viene chiamato da ogni parte d’Italia ad accompagnare le persone malate o anziane negli ultimi periodi della loro esistenza. La sua storia, ma soprattutto le sue riflessioni sulla morte e sulla vita sono diventate un libro.
Ange Fey
Società

Ognuno di noi ha delle predisposizioni, capacità innate. Quella di Ange Fey è di essere lì, quando la fine della vita si avvicina, “presente a sé e a quello che lo circonda senza cercare o tentare di fare nulla”. Una predisposizione scoperta nei reparti degli ospedali e che presto è diventata il suo lavoro. Un mestiere che non è codificato, non ha un nome, ma si potrebbe definire accompagnatore della vita fino alla morte o come preferisce lui “esserelista”.

Da oltre 35 anni viene chiamato da ogni parte d’Italia ad accompagnare le persone malate o anziane negli ultimi periodi della loro esistenza. Un supporto anche per i famigliari o per chi rimane. La sua storia, ma soprattutto le sue riflessioni sulla morte e sulla vita sono diventate un libro “Alla fine si muore”.

Nato a Parigi 62 anni fa, si è trasferito da piccolo con la sua famiglia in Italia, arrivando in Valle d’Aosta. “Da piccolo volevo fare il ballerino, in un’epoca però in cui i ballerini venivano visti male, mio padre non era d’accordo. Poi ho desiderato fare il musicista, suonare l’organo Hammond”.

Fin da giovane, complice la malattia del padre, si trova a frequentare gli ospedali e soprattutto le persone malate. Risponde alle piccole richieste che gli vengono fatte: sistemare la coperta, porgere un bicchiere d’acqua, alzare lo schienale del letto. Un infermiere venuto a visitare un compagno di stanza del padre lo nota e percepisce in lui questa predisposizione ad accudire.

Nel suo reparto, malattie infettive, c’è un ragazzo di 28 anni, malato di Aids, che ha espresso il desiderio di avere qualcuno accanto a sé. Ange accetta. È la sua prima esperienza di accompagnamento durata un anno e mezzo. Da Damiano, nome di fantasia, Ange apprenderà una lezione importante. “Accompagnare una persona in fin di vita significa esser lì, semplicemente, il più leggero possibile, mettendosi al servizio”.

Nel 1997 crea l’Associazione “Il Bruco e la Farfalla”, che ha tuttora sede in Valle d’Aosta. “Tutti pensano all’aspetto romantico della trasformazione del bruco in farfalla. Ma qualcuno si è mai chiesto che fine fa la farfalla?” chiede. Dieci anni dopo crea un gruppo di lavoro multidisciplinare che si occupa delle dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat).

Negli anni Ange Fey si specializza, frequenta corsi, come quello in tanatoprossi, un trattamento estetico conservativo della salma per il tempo necessario allo svolgimento dei funerali. Accanto agli accompagnamenti organizza corsi, frequentati da medici, infermieri, oss, ma anche da tante persone che non necessariamente svolgono professioni legate alla cura.

Ange non offre risposte, anzi invita a diffidare da chi pensa di averle. Nel libro, ma anche nell’intervista, è lui a porre le domande. Se abbiamo una vita per prepararci alla morte perché vi arriviamo impreparati?

“Non lo so, ma trovo sia folle. Viviamo in un’ipnosi collettiva che non ci permette di vedere che nella natura tutte le cose hanno un inizio e una fine”. La morte nella nostra società viene spesso, racconta Ange Fey, nascosta, “ghettizzata”. E alcune fasi, come quella della vestizione della salma, delegate. “Così ci perdiamo un momento importante dell’esistenza. Chi muore ha diritto a che ci si prenda cura di lui come si è fatto per la sua nascita”.

Ange non ha protocolli definiti. “Non c’è un accompagnamento uguale all’altro. Quando arrivo lo faccio sempre come l’ultimo della classe, quello che non ha studiato, non ha fatto i compiti”. Si mette in ascolto, apprende, rispetta e aiuta a far scelte e decisioni, anche e soprattutto quelle non comprese da amici e famigliari. “Prendere in considerazione la morte e non negarla permette di riconoscere la vita in se stessi. La propria vita è il miglior libro da leggere, giorno dopo giorno, per comprenderne la profonda essenza”.

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