Nicaso e Gratteri: come cambiano le strategie della ‘ndrangheta

Presentando “Dire non dire, i dieci comandamenti della ‘ndrangheta” il giornalista e il magistrato hanno raccontato le nuove forme di colonizzazione mafiosa nel Nord. Il monito ai valdostani: “Siete ancora in tempo per agire”.
Roberto Mancini, Antonio Nicaso e Nicola Gratteri
Società

In Valle d’Aosta tutto sommato siete ancora in tempo per evitare il peggio” . E’ timidamente ottimista il giornalista e scrittore Antonio Nicaso, che assieme al magistrato Nicola Gratteri ha presentato ieri sera ad Aosta, in una saletta dell’Hotel des Etats assolutamente gremita,  “Dire non dire, i dieci comandamenti della ‘ndrangheta”. E’ il settimo libro scritto a quattro mani dalla coppia, composta da due professionisti considerati tra i massimi esperti internazionali di ‘ndrangheta. Gratteri e Nicaso, invitati dal giornalista Roberto Mancini per raccontare come si sta evolvendo la ‘ndrangheta, hanno consigliato grande vigilanza alla popolazione. “Ho letto la sentenza Tempus Venit – ha commentato Antonio Nicaso – ed è emerso che nella vostra regione sta accadendo, con decenni di ritardo, quello che è già capitato in altre zone, in Italia e nel mondo. Le estorsioni finora sono avvenute esclusivamente a danno di imprenditori di origine calabrese, non si sono ancora estese al resto del tessuto imprenditoriale, ma se non si interviene è questione di tempo. Significa che siamo in una fase iniziale. Non è una battaglia tra etnie, esistono calabresi delinquenti e calabresi onesti, esattamente come avviene con i valdostani. Le persone oneste devono unirsi, fare fronte comune e aprire bene gli occhi.”

Come agisce la ‘ndrangheta quando conquista nuove fette di territorio?
Tra tutte le mafie è quella che meglio si adatta ad ogni contesto, approfittando della globalizzazione per sperimentare nuovi approcci, anche molto fantasiosi. Alla base, c’è una mentalità precisa, che vede il mafioso come il padrone assoluto delle strade, dei quartieri e delle città poste sotto la sua “giurisdizione”. Nulla in queste zone può accadere senza il suo consenso. Il capomafia può aiutare il sindaco ad essere eletto e poi passare a riscuotere, oppure comprare la squadra di calcio cittadina, pagare la ristrutturazione della facciata della chiesa e il rifacimento del marciapiede. Sono tutti modi per rendere evidente a tutti il proprio potere, e in cambio ottenere obbedienza e un bacino di voti da vendere al migliore offerente. Se un tempo i commercianti pagavano direttamente pizzo o tangenti, oggi sono costretti ad utilizzare determinati fornitori per i loro esercizi. Particolare è l’atteggiamento verso l’usura, condannata dalla ‘ndrangheta fino a 25 anni fa, ora considerata un sistema brillante per riciclare denaro sporco. Come da copione, la vittima finisce immancabilmente in rovina, e la proprietà dell’immobile passa nelle mani della mala, che aveva puntato ad acquistarla fin dall’inizio, magari per aprire l’ennesimo commercio di facciata. “A questo punto meglio fallire subito, senza accettare favori dagli usurai, tanto si fallisce lo stesso, ma almeno si salva la dignità e si evitano le ritorsioni, le minacce e le intimidazioni” è il commento di Antonio Nicaso.
Un’altra strategia è quella del cuculo, che depone le uova appositamente nei nidi altrui, lasciando che i propri pulcini sterminino la concorrenza. I mafiosi propongono di salvare le aziende in difficoltà diventandone soci di minoranza, per poi, una volta infilato un piede nella porta, gestire direttamente tutto. E’ la figura del mafioso imprenditore. Questo personaggio si riconosce facilmente, è quello che punta stranamente a pagare più tasse possibile. In questo modo con false fatture ripuliscono i proventi illeciti, e possono giustificare agli occhi del fisco le proprietà.

Chi apre la porta alla ‘ndrangheta nel Nord Italia?
Secondo Gratteri non si può parlare di contagio, di territori vergini dall’infiltrazione mafiosa che sono stati conquistati. “Sono gli imprenditori in cerca di mano d’opera a basso costo e i politici a caccia di voti ad avere individuato nelle mafie una soluzione ai loro problemi. Il vantaggio per la criminalità organizzata non è solo economico. “Di soldi ne hanno fin troppi, gestendo quasi in regime di monopolio mondiale l’importazione di cocaina” ha spiegato Gratteri. “Il problema, al contrario, è trasformare il denaro sporco in modo da potere giustificarne la provenienza, per questo stanno comprando, pezzo per pezzo, negozi, ristoranti, supermercati, vie, palazzi, città ovunque. L’obiettivo vero delle ‘ndrine non sono soldi, è il potere, se vengono qui è per comandare”. Come recita uno dei dieci comandamenti del libro, “Cumandari è megghiu chi futtìri”. “Un tempo – ha proseguito – i mafiosi andavano a bussare dai politici. Bussavano con i piedi, perché le mani erano impegnate a reggere regali. Oggi sono i politici che bussano alle porte della mafia. La mafia sta alla politica come l’acqua sta ai pesci. Si spara pochissimo proprio perché il sistema di relazioni stretto tra il territorio e le mafie non rende necessarie certe azioni”.

Il falso mito del codice d’onore
Sono numerose le leggende fiorite attorno alla ‘ndrangheta, molte sono veri e propri miti fondatori, storie inventate per assegnare patenti di nobiltà postume. Antonio Nicaso è intervenuto per fare chiarezza anche su questi punti. “L’alone romantico di cui si circonda la ‘ndrangheta non corrisponde assolutamente alla realtà. In tutta la loro storia le mafie non si sono mai schierate dalla parte dei deboli e contro i più forti, rappresentano da sempre la forza reazionaria e conservatrice al servizio del padrone, del potente di turno”. La meritocrazia è un miraggio: le raccomandazioni sono tutto, e il “figlio del capo” percorre sempre una corsia preferenziale all’interno dell’organizzazione. Quanto alle regole ferree vantate dalla ‘ndrangheta, si applicano a tutti tranne che ai capi, che godono di totale impunità. Nicaso racconta a titolo d’esempio la triste parabola di un tipico picciotto. “Si sposa prestissimo, un matrimonio combinato per rinsaldare i legami tra famiglie. Genera tanti figli, perché sono segno di prestigio sociale. Finisce in prigione per un reato a sfondo mafioso, ma il clan gli resta vicino, e gli passa attraverso il carcere 300 euro al mese. Quando però la sentenza diventa definitiva basta bustarelle, non c’è più il rischio che il giovane, sentendosi abbandonato da tutti, parli. Altri soldi vengono portati a casa della giovane moglie, che attende con i bambini piccoli il suo ritorno. Chi glieli porta, se è gerarchicamente importante, non di rado approfitta sessualmente di lei, mentre il giovane marito starà via almeno dieci anni”.
Anche la presunta religiosità dei mafiosi è pura facciata. “Serve per strumentalizzare i sacramenti, visti come occasioni per stringere alleanze, e per celebrare momenti importanti della vita dell’organizzazione, come quando, a settembre, durante la celeberrima festa della Madonna di Polsi, si riuniscono tutti gli ‘ndranghetisti per eleggere i propri vertici, un summit documentato da riprese con telecamere nascoste e intercettazioni” ha ricordato Nicola Gratteri. Come documentato da Alberto Bertin, della commissione regionale Antimafia, la famiglia Nirta, tristemente nota alle cronache per traffico trans-nazionale di cocaina, vorrebbe introdurre anche in Valle d’Aosta una festa dedicata alla Madonna di Polsi, ed è lecito chiedersi il motivo. Anche questo è uno spunto interessante per continuare a tenere gli occhi aperti, come hanno consigliato di fare gli autori del libro.
 

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