“Non andate via da questo Paese. È vostro e dovete riprendervelo e lottare per sentire quel ‘fresco profumo di libertà’ che non si è più sentito dopo la Resistenza”.
Salvatore Borsellino è ad Aosta, e questa mattina alla Cittadella dei Giovani ha incontrato alcune classi del Manzetti, del Liceo Bérard e del Regina Maria Adelaide per iniziativa dell’associazione Libera Valle d’Aosta.
Giovani ammaliati dal racconto di Borsellino che ha ripercorso le tappe della storia di suo fratello Paolo, il giudice antimafia ucciso da un’autobomba il 19 luglio 1992 in Via d’Amelio a Palermo.
Giovani che non erano neanche nati quando quella terribile pagina della storia italiana si apriva, 21 anni fa. La pagina di quei 57 giorni nei quali Cosa Nostra uccise Giovanni Falcone, il 23 maggio ’92, e Paolo Borsellino appunto inferendo una ferita profonda a questo Paese.
Giovani dai quali si deve partire per sconfiggere le mafie: “Mio fratello nella sua ultima lettera dedicata ai ragazzi di un Liceo nel quale avrebbe dovuto tenere un discorso ha scritto: ‘Quando questi giovani saranno adulti avranno più forza di combattere di me e della mia generazione’. Paolo credeva nei giovani, credeva che con il ricambio generazionale si potesse arrivare dove lui non è riuscito”.
La speranza di Paolo Borsellino che avvolge anche suo fratello Salvatore, di due anni più giovane, la speranza che entrambi hanno visto e vedono negli occhi di questi giovani, la speranza che quella coltre di indifferenza e di omertà, quando si parla delle mafie, sia definitivamente strappata via.
Dal 1992 ad oggi, in realtà, il passo si fa breve: “Abbiamo lottato molto – racconta Salvatore Borsellino – perché si aprisse questo processo sulla trattativa Stao-mafia, una trattativa di cui Paolo si era reso conto subito, il 1°luglio ’92, quando Nicola Mancino si insediò al Ministero dell’Interno”. Un processo che apre mille domande e scenari inquietanti, domande ataviche che rimbombano e risuonano da anni in Italia: “Perché tutti questi silenzi delle Istituzioni? Perché personaggi che hanno taciuto per vent’anni ora dicono che sapevano qualcosa sulla trattativa? E non solo collaboratori di Giustizia ma anche personaggi come Violante e Martelli. Chi si cerca di coprire?”.
La via è quella della speranza, secondo Salvatore Borsellino, e quella dell’amore. Amore per la propria terra, per il proprio Paese, per la giustizia e la verità. Un invito a non scappare, come lui stesso fece da giovane lasciando la Palermo dei morti ammazzati per andare ad insegnare ad Ivrea, e poi a Milano: “A cosa serve scappare quando ti trovi la mafia ovunque vai. Quarant’anni dopo in Lombardia e in Liguria si sciolgono i comuni per le infiltrazioni mafiose. Una mafia più pericolosa, che uccide in un’altra maniera, che penetra nei sistemi finanziari e che in un periodo di ‘stretta creditizia’ ha gioco facile attraverso soldi sporchi di sangue”.
La scelta giusta è quella di combattere questo sistema, non lasciarlo all’indifferenza e all’omertà, non girarsi dall’altra parte di fronte alla mafia: “Sapete quanti esercizi commerciali in Corso Buenos Aires a Milano pagano il pizzo alla ‘ndrangheta? Il 50%. Non a Palermo ma a Milano. La scelta giusta è stata quella di Paolo, di rimanere e combattere per quello che si ama. Andare via non è servito a nulla, tutto quello da cui sono scappato lo trovo vicino a me, dal traffico dei rifiuti alla distruzione dell’ambiente”.
Ma nonostante l’amarezza il messaggio di Salvatore Brosellino e quello prima ancora di Paolo (e di suo ‘fratello’ Giovanni Falcone, come lo chiama Salvatore stesso) è un messaggio di speranza, di amore: “Questi sistemi nascono quando lo Stato è assente o non adempie ai propri doveri. La mafia ha fatto un grande errore: ha ammazzato due magistrati straordinari, Paolo e Giovanni, che sono però entrati nel cuore di tutti e hanno dato a tutti la forza