"Non ci sono più i valori di una volta" dicono gli anziani. “E non ci sono più i giovani di una volta”. E neanche le mezze stagioni, aggiungo io. Al di là delle battute, è evidente: i contesti sociali in cui viviamo sono cambiati parecchio. Cosa che accade da centinaia di anni, nei passaggi generazionali. Come sempre ci si chiede cosa abbiamo perso, cosa abbiamo guadagnato.
I bilanci sono sempre difficili, ma su alcune sfere ho la chiara sensazione che ‘siamo in perdita’. Come generazione di adulti educanti non sempre stiamo passando dei “buoni modelli” ai giovani. C’è una fragilità diffusa, una tendenza alla personalizzazione delle regole, quella che i sociologi chiamano “mancanza di un ethos pubblico”. Vorrei condividere con voi alcuni fatti di dominio pubblico e un’esperienza personale, che mi hanno fatto molto riflettere in queste ultime settimane. Eh, lo so, oggi sarò meno leggera e ironica del solito. Ma quando si parla di "che modello siamo" la questione si fa seria. Decisamente seria. Perché possiamo fare mille prediche ai nostri figli, ma alla fine dei conti una cosa rimarrà loro: il nostro esempio. Riflettere sul "modello intenzionale" che vogliamo essere per le giovani generazioni è più che mai urgente.
Perché della "perdita di valori” siamo responsabili un po' tutti.
Parto da due fatti di dominio pubblico.
Donnarumma non si presenta alla maturità
Il popolare e giovanissimo portiere sceglie di andare in vacanza a Ibiza anziché sostenere l'esame di maturità presso un'Istituzione scolastica che peraltro aveva riorganizzato i tempi della sessione di esami appositamente per lui, con specifiche prove supplettive. Polemiche e fronti divisi, tra chi condanna il gesto e chi dice "col suo talento, può permetterselo". A mio avviso è stata una scelta errata; se io fossi stata la Dirigente della società sportiva, non glielo avrei permesso. "Vuoi continuare a fare il calciatore professionista? Vai a prenderti questo diploma"; che, detto tra noi, sarebbe stato uno sforzo davvero minimo. Chi gli ha permesso di rinunciare ha fatto passare un messaggio diseducativo. Per un ragazzino, magari appassionato di calcio, quello rappresenta un modello. Se si è tirato indietro lui, perché non potrei farlo anche io tra qualche anno, se per caso mi sentissi troppo stanco o impreparato per il mio esame di maturità?
Lo stupro di branco di una 15enne nel Salernitano
Il fatto è avvenuto un anno fa nel Salernitano, ad opera di 12 minorenni i quali hanno recentemente ottenuto di poter ritornare nelle loro famiglie, dopo un periodo in comunità minori. Avranno 18 mesi di messa alla prova affidati ai Servizi Sociali: se studieranno, faranno sport e non ri-commetteranno reati, il reato sarà estinto. La notizia ha creato clamore, perché la ragazza è stata costretta a lasciare il paese con la famiglia e a ritornare in Germania, paese natale, quando ha visto ritornare i suoi aguzzini, liberi di circolare nello stesso paese; pare che il clima fosse insostenibile, il paese omertoso, pesanti gli scherni e l’esclusione sociale ai danni della ragazza. Un paradosso, se ci pensate! I ragazzi avrebbero dovuto sentirsi addosso la condanna morale da parte del paese, non lei! Invece si è mal-gestito uno dei reati più abominevoli che esista: la filosofa statunitense Susan Brison definisce lo stupro come un "assassinio senza cadavere". Anche il Sindaco, che è vergognoso sia ancora in carica dopo la sua dichiarazione, ha peggiorato la vicenda definendo quello stupro di branco “una bambinata”, dicendo “sono dei ragazzi, cosa ti vuoi aspettare da loro…”.
Ecco, il cuore della questione è proprio qui: cosa ci si può aspettare da dei ragazzi oggi? Perlomeno il rispetto delle regole di convivenza sociale, e l’assunzione di responsabilità quando sbagliano, soprattutto se commettono un reato grave. Che modello è stato passato ai quei giovani, e a tutti i giovani, con la gestione di questa vicenda? Un modello pessimo, ancora condizionato da stereotipi di genere, un modello dove atteggiamenti riprovevoli passano come ragazzate, dove si tenta di normalizzare ciò che invece è patologico.
Ora veniamo all’esperienza personale: di recente ho trascorso una piacevole settimana al mare col figlio adolescente, alcuni suoi amici e due nipotini. Un bel gruppetto! Per me è stato scontato impostare turni di lavaggio dei piatti, apparecchiare e sparecchiare, mentre del cucinare mi occupavo io. Tutti tenevano in ordine. Insomma, ognuno faceva la sua parte. E’ stato “modello intenzionale” il mio? Assolutamente sì. L’idea della donna-mamma che serve e riverisce il gruppo di ragazzi-uomini proprio non fa per me. Sono sincera: avrei potuto fare tutto io e lasciarli più liberi di ‘godersi’ la vacanza, ma non ho voluto farlo io. Perché il modello passa in ogni nostra millimetrica azione. Ma non solo.
Trasmettiamo i valori anche attraverso le regole che diamo ai nostri figli, anche se spesso non ci pensiamo. Una regola è anche ciò che consentiamo ai nostri figli di fare o non fare, che sia andare a un rave-party fino all’alba, farsi un tatuaggio a 15 anni o portare un perizoma in spiaggia a 14 anni, di quelli da ‘rischio infarto’ per un genoma XY che sia lì di passaggio. Ebbene sì, datemi pure della bacchettona, ma vi confido che ero un po’ perplessa dell’invasione di succinti costumini modello brasiliano indossati da avvenenti adolescenti, che sarebbero bellissime anche con i costumi a pantalone delle nostre bisnonne. Quelle ragazzine erano in vacanza al mare con la famiglia, non da sole con le amiche. Quei costumi da capogiro non erano una scelta trasgressiva, erano una scelta ordinaria.
Ora, la domanda sorge spontanea: dove sono finiti i genitori di una volta? Quelli del “quel costume non te lo puoi mettere finché andrai in giro con me!”, quelli che spiegano a una figlia che forse “un’immagine così sexy e ammiccante a 14 anni non è opportuna”, quelli che spiegano che “contano i muscoli delle gambe, ma anche quelli del cervello”. Quelli che pensano che, insomma, ci sia ancora una questione morale da trasmettere.
Io lo so che ci sono quei genitori, ma a volte hanno paura. Paura di sembrare vecchi, moralisti, retrogradi. Hanno paura che dire di no significhi perdere la relazione con i figli. Invece siamo “modello intenzionale” anche nella nostra capacità di gestire i limiti e dare regole. E i ragazzi lo sanno. E ci guardano. Loro fanno i ragazzi. A noi tocca fare gli adulti.