Gentilezza, pratichiamola nel quotidiano

Licia Coppo, in occasione della Giornata mondiale della gentilezza, propone una riflessione sulla necessità di stimolare nei nostri figli la pratica dell'attenzione nei confronti degli altri.
Giornata gentilezza
Basta un po’ di educazione

Pensate un po’, siamo così poco abituati a praticare la gentilezza che hanno dovuto addirittura istituire una giornata mondiale dedicata a lei! Questa data non è stata scelta a caso, ma coincide con la giornata d’apertura della Conferenza del “World Kindness Movement” a Tokyo nel 1997 che si è chiusa con la firma della Dichiarazione della Gentilezza.

Magari qualcuno si indignerà un po’, con mantra tipo “non dobbiamo mica essere gentili solo il 13 di novembre!”, ” bisognerebbe essere gentili tutto l’anno!”. Vero, però intanto cogliamo l’occasione, oggi che si celebra la Giornata Mondiale della gentilezza, per capire meglio cosa significhi educare i nostri figli a saperla praticare nel quotidiano.

Su questo tema a volte le idee sono un po’ confuse. A volte c’è uno stereotipo legato alla gentilezza con una “questione da sfigati” (così pensano talvolta alcuni ragazzi), o come una caratteristica delle persone remissive, magari deboli. O peggio, a volte si pensa che la gentilezza sia solo quella pratica delle buone maniere, quella del dire ” per favore”, “grazie” e “prego”.

No, la gentilezza è molto di più! Sono illuminanti le parole di Eugenio Borgna, che dice che “La gentilezza ci consente di allentare le continue difficoltà della vita, le nostre e quelle degli altri, di essere aperti agli stati d’animo e alla sensibilità degli altri, di interpretare le richieste di aiuto che giungano non tanto dalle parole quanto dagli sguardi e dai volti degli altri: familiari, o sconosciuti. La gentilezza è un fare e un rifare leggera la vita, ferita continuamente dalla indifferenza e dalla noncuranza, dall’egoismo e dalla idolatria del successo; la gentilezza è come un ponte che mette in relazione, perché ci fa uscire dai confini del nostro io, della nostra soggettività, e ci fa partecipare della interiorità, della soggettività, degli altri.”

Educare alla pratica della gentilezza significa quindi, in primis, stimolare nei nostri figli la capacità di decentramento; insegnar loro a spostarsi dal loro bisogno, dal loro “baricentro emotivo” per capire che c’è un’altra persona, che sia un amico, un fratello, un compagno di squadra, che è un ‘portatore di bisogni’. Educare a coltivare la gentilezza significa, inoltre, allenare i nostri figli alla pratica dell’attenzione; se sono attento, mi accorgo del mio amico in difficoltà, quello a cui manca la penna o che ha scordato la merenda a casa; mi accorgo di chi ha bisogno di un aiuto, di un favore e mi attivo per soddisfarlo. Chi ha un animo gentile sta bene se può far star bene gli altri.

Vedete, qui sta la differenza tra la “pratica della gentilezza” e la cosiddetta “buona educazione”: nel secondo caso, io rispetto le regole, non supero la fila al supermercato, non parcheggio in doppia fila, studio per la verifica e non copio dal compagno. Nel primo caso io, che sono in fila al supermercato, lascio passare chi è di fretta e ha pochi pezzi, nel parcheggio cedo il posto e non mi incarognisco, a scuola studio per la verifica e, se riesco, aiuto il compagno in ansia facendolo copiare.

Nella “buona educazione” si insegnano le “buone maniere”, il linguaggio senza parolacce, la cortesia formale e il galateo. Nella “pratica della gentilezza” si insegna a sorridere, ad ascoltare, ad abbracciare, a donare.

Educare alla gentilezza significa insegnare ai nostri figli che la relazione è un legame che va curato con attenzione, che le parole possono essere più taglienti di una lama e vanno usate con cautela, che a volte rinunciare e condividere non è solo frustrante, ma può essere gratificante.

Educare alla gentilezza significa, infine, allenare lo sguardo dei nostri figli a cercare sempre il bello e il positivo negli altri. Stamattina io avrò il privilegio di fare questo lavoro con dei bellissimi bimbetti di 6 anni, a scuola. Ci alleneremo a dirci parole gentili, che come dice Calimero nella storia del Bosco della felicità, sono come “piume morbide che scaldano il cuore e donano la gioia di vivere”.

Abbiamo dannatamente bisogno, in questo periodo storico, di tornare a praticare la virtù della gentilezza! Cogliamo l’occasione, in questa Giornata Speciale, di prenderci un piccolo, ma intenzionale, impegno per la giornata: un piccolo gesto di gentilezza verso qualcuno, un momento di ascolto, un aiuto ad un collega, un bisogno soddisfatto prima ancora che l’altro ci chieda un favore. Basta una cosa piccola, ma vera. Da condividere con i nostri figli.

La gentilezza ci fa vivere leggeri, meno arrabbiati e più appagati. Insomma, la gentilezza conviene.

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