"Quindi posso dirgli si fa come dico io, punto!? Perché a volte mi sfinisce di domande!", "Se gli dico: ”Ti alzi da tavola per giocare solo quando hai finito di mangiare faccio bene? Mi sembra di ricattarlo!", "Ma se le diciamo no, l’I-phone da 500 euro non te lo compriamo, hai solo 13 anni non è che poi la mortifichiamo troppo? E la escludono dal gruppo?".
Incontro sempre più spesso genitori che mi pongono domande analoghe a queste. Ma che è? Ci stiamo rintronando del tutto? Da chiederci se sia giusto privare una figlia di un costosissimo telefono? Se far stare un bambino a tavola sia una forzatura eccessiva?
Fermi tutti, ripartiamo dai basilari
La questione spiegazione della regola e del no: sono anni che ci dicono che ai figli bisogna spiegare le regole, motivarli affinché facciano le cose che diciamo non perché obbligati, ma perché ne capiscono il senso e così siamo diventati genitori morbidi, “senza spine”, che parlano (tanto, troppo) e ascoltano (sempre, ma spesso nel modo sbagliato), che vorrebbero avere figli sempre ragionevoli. Ma i bambini, e ancor più i ragazzi, generalmente non lo sono. Sennò sarebbero già adulti, e di noi non avrebbero bisogno. Una spiegazione e la motivazione della regola e del “No, non puoi farlo” ci sta (sennò che genitori moderni saremmo?). Dopo di che, basta! Vi scongiuro!!! Osservo genitori al parco giochi richiamare i bambini di 6 anni più di dieci volte quando devono andare via. E ogni volta “dai, dobbiamo andare, te l’ho detto che non c’è tempo, che dobbiamo ancora fare la spesa, andare a prendere la tua sorellina al nido, poi arriviamo a casa troppo tardi” e bla, bla, bla.
Al di là del dispendio energetico inutile, fa bene ai bambini questo approccio? No. Per nulla. Meglio agire con fermezza, e se mi chiedi per la terza volta “perché dobbiamo andare già via?” Io devo sapere che è una domanda tranello, e ripescare le sacrosante frasi della nonna: “Si va via perché lo dico io. Punto”; e visto che hai solo 6 anni ti prendo per mano e usciamo a passo deciso dal parco giochi. La fermezza educativa oggi latita un po’. Ed è un problema. Mettetevi nella testa di quel bambino di 6 anni: sente che non c’è contenimento, non c’è limite al tempo di gioco, e che ha il potere di ottenerne di più (chiedo ancora 5 minuti, mi lagno un po’ e mamma cede). Così facendo non lo stiamo educando all’autoregolazione, e inoltre perdiamo autorevolezza e credibilità (ma se davvero ci sono tutte queste cose da fare e siamo in ritardo, perché mi permetti di giocare ancora?). Eccolo lì uno dei tranelli dell’educazione moderna: pensare che il bravo genitore sia quello morbido, democratico. Che ti spiega le cose, e tu fai sempre le scelte giuste perché ne hai capito il senso profondo. Certo! E io ho visto un unicorno saltellare nel prato.
La questione coinvolgimento dei figli piccoli nelle decisioni e nelle scelte: a gennaio ero a Milano in una palestra di tappeti elastici, frequentata anche da famiglie; ho sentito questo dialogo tra papà, mamma e Matilde, 4 anni: “Sai papà, oggi pomeriggio Matilde non vuole andare alla scuola-gioco (immagino sia una sorta di servizio per sopperire alla chiusura delle scuole), dice che non ne ha voglia”. “Come, non ne hai voglia?” chiede il papà. E Matilde, con il visino imbronciato: “No! non ci voglio andare!” La mamma: “Ma cos’è che non ti piace? Non ti piacciono le maestre? Cos’è che non ti piace delle maestre?” Ve lo giuro, il dialogo aveva questo tono, e la povera Matilde non riusciva a rispondere. Che ne sa lei di che cosa non le piace esattamente? Davvero non le piace? O forse quel posto le piace, ma preferirebbe stare a casa con mamma e papà? E poi, che razza di domanda è “Cosa non ti piace delle maestre?”. Se la mamma voleva screditare tutto il mondo adulto, facendosi anche un autogol, complimenti! Obiettivo raggiunto! L’epilogo del dialogo marziano è stato: “E va bene Matilde, allora facciamo un patto: oggi, visto che non te la senti non ci vai, ma domani sì. Va bene?”. E Matilde annuisce sorridente. Ovvio: obiettivo a breve termine raggiunto. E domattina? Quasi sicuramente si riproporrà la stessa scena. E, di nuovo, mettetevi al posto di questa bimba di 4 anni: quanta responsabilità!
Innalzata allo stesso livello dei genitori, le viene chiesto di decidere in base al suo sentire, di impegnarsi per domani giacché oggi ha scelto di stare a casa. Non vi manca l’aria? Se invece quei genitori avessero accolto le sue emozioni “dopo queste belle vacanze, preferiresti rimanere ancora un po’ a casa con noi”, ma poi avessero aggiunto “però quando ci sei andata ti sei divertita, ti ricordi? E poi ci sono Sara e Matteo, i tuoi amichetti. Puoi portare uno dei regali che hai ricevuto a Natale, così lo vedono anche le tue maestre, dai!!” Il tutto condito da un po’ di entusiasmo, di gestualità rassicurante, da un tono di voce caldo e giocoso, perché se i figli sentono che li mandiamo alla scuola-gioco ma siamo poco convinti, ci sentiamo tristi e in colpa perché non vorremmo andare a lavorare né separarci da loro, li carichiamo di un gran caos emotivo che è tutto nostro (e come adulti dovremmo imparare a gestircelo!). E se proprio volete fare il patto, piuttosto dite “Ne abbiamo parlato io e il papà; oggi riusciamo a liberarci dal lavoro e possiamo tenerti ancora a casa con noi, ma domani si va senza fare storie. Ok?”. Sembra più duro come messaggio, ma è paradossalmente più sano. Sono gli adulti ad assumersi la responsabilità della scelta, non la povera Matilde. Che può serenamente continuare a fare la bambina!
E questi sono solo alcuni tranelli dell’educazione moderna, la questione si fa complessa.
Vi lascio in sospeso per due settimane, gli altri li aggiungerò nella prossima rubrica. À la prochaine!
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Bello, scritto in modo piacevole da leggere e molto interessante. Grazie signora Coppo, attendo volentieri di leggere le prossime puntate. Un cordiale saluto. C.OLIV8