“Aveva una forza, una energia, che solo una valanga può aver fermato. Gli erano caduti addosso sassi grandi come frigoriferi. Era già scampato a cose del genere. Stavolta, no”. Elia Meta, l’aspirante guida alpina e soccorritore del Sagf della Guardia di finanza morto in Val di Rhêmes la settimana scorsa, a 36 anni, è tutto in queste parole del fratello maggiore Mattia. Le ha pronunciate durante il funerale tenutosi oggi, martedì 18 aprile, in una gremita chiesa di Santa Margherita ad Entrèves (Courmayeur).
Un ricordo parlando “a braccio”, per far conoscere anche a chi lo ha incrociato negli undici anni passati in Valle d’Aosta, il fratello che non diresti: una “testaccia dura”, nata in Romagna, sulla quale inizialmente “c’è stato da lavorare” (e “lo ho fatto io, ma anche babbo e mamma”), però poi ha scelto di porre “la vita nelle mani degli altri” e di “andare ad aiutare gli altri”, prima nella Marina e poi nelle Fiamme Gialle. Un ragazzo che “sorrideva sempre, ma si arrabbiava anche”.
Perché “era un terremoto buono”, nato in Romagna, terra in cui “abbiamo un brodo, che i romagnoli valorizzano: la gente sa andare in moto, fare i cappelletti e beve il sangiovese”. Cresciuto in quella dimensione, Meta era in grado di trasmettere la passione solo con gli occhi, come aveva fatto quando quindici ragazzi della sua parrocchia d’origine erano arrivati in Valle, “perché non avevano mai visto la montagna vera”. “Lui ci ha raccontato tutto ciò che imparava al corso guide” e ha “fatto una lezione di storia dell’alpinismo e di tecniche apprese, che avrebbero migliorato il suo servizio”.
Parole non consuete per un ultimo saluto, ma che a sorreggere il feretro di Elia Meta fosse, oltre ai colleghi del Sagf, l’ondata di affetto generata dall’abbraccio tra la regione in cui prestava servizio e quella di provenienza, lo aveva già sottolineato Don Marino Colombo, parroco di Entrèves, che ha celebrato il rito assieme ad altri sette sacerdoti. “Oggi solo una persona vissuta amando – ha detto nell’omelia – poteva trasformare un funerale, che pur rimane un luogo della serietà, in una festa”.
Malgrado la commozione generale, – con le lacrime trattenute a stento da tutti quando nella chiesa ha fatto ingresso il piccolo Giorgio, figlio di nemmeno cinque anni avuto da Meta con la moglie Chiara, sposata nel 2017 – festa è stata. E vi hanno contribuito non solo i tre cori, venuti anche dalla terra di Meta, ma anche tutti i “sapori, i colori della sua vita”, unitisi per un giorno in un variopinto caleidoscopio. Di sgomento, ma composto e desideroso di perpetuare lo stesso sorriso mostrato dall’appuntato 36enne nella foto sopra la sua bara di legno chiaro.
Non solo, perché, come ha sottolineato Francesco, guida che con Meta aveva condiviso il corso di idoneità professionale, se “Elia ci ha lasciato il suo zaino, pesantissimo”, chi resta ha “il dovere di continuare” e, “a nome di colleghi e amici, l’augurio è di riuscire a dare corde sicure e chiodi ben piantati a tutti coloro che ne avranno bisogno, come sarebbero riusciti a fare Elia”, Lorenzo Holzknecht e Sandro Dublanc (salutato ieri ad Hône), le altre vittime del distacco nella zona della punta Tsanteleina.
Quando la bara di Meta ha lasciato la caserma del Sagf per raggiungere la chiesa nel cuore della frazione, luogo dove – ha sottolineato il parroco – “i figli che la montagna ha voluto sono diventati anche i figli di questa parrocchia”, il Monte Bianco, svettante in un cielo sino ad allora non particolarmente coperto, si è velato, quasi in un moto di pudore a mostrare la sua maestosità e supremazia sugli esseri umani riuniti ai suoi piedi.
Sotto quel broncio in cielo, una volta uscito il feretro dalla chiesa, salutato dagli attenti dei finanzieri (erano presenti i vertici regionali, e non solo, del Corpo) e dagli stendardi di guide e maestri di sci, sono risuonate le note di “Ce n’est qu’un au revoir” e di “Montagnes Valdôtaines”, ma anche di “Romagna Mia”. Ed in tanti si sono convinti che, come aveva detto il fratello Mattia poco prima, “Elia è morto ai nostri cinque sensi, ma è vivo. E’ su. E’ già in cima a tutti i monti, che se la ride”. E se, “dopo tre giorni ho smesso di piangere” è perché “so che un giorno ci ritroveremo”.