Erano gli anni d’oro della motonautica italiana, che esibiva piloti di livello eccezionale, protagonisti di un’era di vittorie e di allori internazionali. Negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso campeggiavano nomi quali Antonio Petrobelli, Vincenzo Balestrieri, Eugenio Molinari, anche costruttori come Guido e Tullio Abbate, Carlo Bonomi, Guido Caimi e Giulio De Angelis, di cui piangiamo la scomparsa, all’età di novantadue anni. Tutti onusti di gloria e di titoli nazionali e internazionali.
De Angelis si era segnalato all’attenzione dei media nel lontano 1957, quando conquistò il titolo europeo nella classe “700 Fuoribordo Sport”. Una tripletta dal 1961 al 1963 tra i confini nazionali nei “Racers 1300” e infine i titoli mondiali, nel 1965 nella classe “500”, con l’apoteosi nei campionati 1969 e 1970.
De Angelis, tra gli altri, aveva guidato un “Celli Dino” del 1968, equipaggiato da un motore Alfa Romeo Montreal 2500 cc. e un “Molinari Angelo” del 1963, alimentato dal propulsore Alfa Romeo Giulietta Sprint Veloce 1300 cc. In mezzo a tanta gloria, due drammi segnarono Giulio De Angelis, nel breve scorrere di un paio di anni. Suo figlio Elio, conduttore di enorme talento tra le quattro ruote, era approdato in Formula Uno e dopo gli inizi in Shadow era divenuto pilota ufficiale della Lotus, dove rimase per sei stagioni, dal 1980 al 1985, sotto l’egida di Colin Chapman, che lo stimava parecchio, un rapporto stretto anche dal punto di vista umano.
Il bilancio fu lusinghiero, tenuto anche conto di varie criticità: due vittorie – Austria 1982, poco prima della morte di Chapman, e San Marino 1985 – tre pole position e dieci podi. Nel 1986 passò alla Brabham e si trovò alle prese con una monoposto, la “BT 55”, dalle caratteristiche tecniche decisamente originali; molto bassa, venne immediatamente soprannominata “sogliola”.
Elio si impegnò allo spasimo per svilupparla, ma senza grandi risultati. Fino alla maledetta sessione di prove sul circuito di Le Castellet “Paul Ricard”. L’alettone posteriore si separò dalla macchina, lasciandola in balia di se stessa. L’incidente fu drammatico nella sequenza e nell’esito. Diversi loop, il muro e il fuoco.
La carriera e la vita del giovane campione finirono lì. Era il 15 maggio 1986. Al dolore per la prematura dipartita dell’amato figlio, Giulio De Angelis, noto imprenditore edile, vide aggiungersi il sequestro di persona, circa due anni dopo, conclusosi quattro mesi più tardi con il rilascio e un orecchio mozzato.
Appare certo che la salvezza di Giulio fu resa possibile grazie all’intervento dell’allora cappellano della Formula Uno, don Sergio Mantovani. Con la morte di Giulio De Angelis cala il sipario su un mondo di pionierismo e di passione, corroborato da tanti successi, che oggi si chiude per sempre.