Nel prossimo fine settimana, da giovedì 19 a domenica 22 gennaio, andrà in scena il Rally per antonomasia, il “Monte-Carlo”, il Rally che vale una carriera, come, d’altra parte, l’omonimo Gran Premio di Formula Uno. Speciali lunghe e impegnative, il fondo insidiosissimo che può variare inopinatamente, anche nella stessa prova, dall’asciutto alla neve al ghiaccio, il fascino del Principato: ecco gli ingredienti che ne fanno una gara unica.
Un’epica che inizia nel 1911, quando si impone, narrano gli annali, il francese Henri Rougier su Turcat-Méry 25HP. Ma è dagli anni cinquanta del secolo scorso che il “Monte” è divenuto un mito. Nel 1954 vince un enfant du pays, il monegasco Louis Chiron, sulla iconica Lancia Aurelia B20 GT. Nel 1962 e nel 1963, doppietta per una vettura che reciterà un ruolo da protagonista fino a metà degli anni settanta: la Saab 96, entrambe le volte con lo svedese Erik Carlsson al volante. Dal 1964 al 1967 la piccola Mini Cooper, con il britannico Paddy Hopkirk, i finlandesi Timo Makinen e Rauno Aaltonen e ancora un britannico, Vic Elford, ha la meglio su auto più potenti, grazie alla sua agilità e alla sua affidabilità.
Un dominio interrotto solamente nel 1966, quando ad imporsi è Pauli Toivonen su Citroën DS 21, complice la squalifica della Mini, che fa molto discutere all’epoca. Due anni di trionfi per la Porsche 911, entrambi con Bjorn Waldegaard, e inizia l’era dell’Alpine Renault A110. Nel 1971 si impone Ove Andersson, nel 1973 Jean-Claude Andruet. Le voitures bleues sono imbattibili, maneggevoli e potenti insieme, oltre che esteticamente splendide. In mezzo al regno Alpine, una vittoria che sa di impresa. La compiono Sandro Munari e Mario Mannucci, che portano al successo la piccola Lancia Fulvia Coupé HF, nel tripudio dei tifosi italiani.
Il “Monte” conosce anche l’onta dell’annullamento dell’edizione 1974, a causa dello shock petrolifero. Poi, per tre anni, il dominio della bête à gagner, come la nominano subito i cultori francesi. Sandro Munari centra un trittico, a bordo della Lancia Stratos, ancora con Mannucci e successivamente con Silvio Maiga alle note. La Stratos è la prima Lancia nata esplicitamente per le corse, ma verrà sacrificata, per motivi commerciali, a favore della Fiat 131, vicina all’auto di tutti i giorni, che si impone con Walter Röhrl nel 1980. La Stratos vive l’ultimo hurrà nel 1979, con Bernard Darniche nella livrea blu non ufficiale dell’importatore transalpino Chardonnet. Nel 1981, la rivoluzione a trazione integrale dell’Audi Quattro, che però sconta problemi di affidabilità e si ritira, lasciando spazio alla Renault 5 Turbo di Jean Ragnotti, complice l’uscita di strada di Jean-Luc Thérier sulla “vecchia” Porsche 911, pare a causa di una lastra di neve gettata sull’asfalto da qualche irresponsabile.
L’Audi si rifà nel 1984, con Röhrl, ma l’anno prima la Lancia vanta un altro colpo da maestro. La “Quattro” è favorita, ma la nuova 037 Rally, a trazione posteriore, firma una fantastica doppietta: primo lo stesso Röhrl passato alla Casa torinese, secondo Markku Alen. Le strade prevalentemente asciutte annullano il vantaggio della trazione integrale, in uno con la pensata di Cesare Fiorio e dei suoi collaboratori, di utilizzare le gomme chiodate solo al posteriore. Röhrl sigla, come Munari, un poker, a bordo, però, di quattro auto diverse: Fiat 131, Opel Ascona 400, Lancia Rally 037 e Audi Quattro A2. Così termina, a mio parere, l’era romantica del “Monte”.