Vent’anni fa moriva Gianni Agnelli, protagonista assoluto del secolo breve. Il Signor Fiat, come lo definì Enzo Biagi. Rimasto orfano a quattordici anni – il padre Edoardo perì tragicamente in un incidente aereo – venne affidato alle cure del nonno paterno, il Senatore Giovanni Agnelli. Pare che il nonno, divertito dalla verve del nipote, gli disse: “Farinel, un giorno li metterai tutti nel sacco”. Nel secondo dopoguerra se ne andò anche il nonno e Vittorio Valletta, allora plenipotenziario della Fiat, gli domandò: “Adesso tocca a me o a Lei?”. E Gianni Agnelli gli rispose che poteva proseguire lui, il Professore.
In ciò seguendo un consiglio del nonno, il quale lo aveva invitato a godersi la vita, prima di assumere le responsabilità di uomo di industria. Iniziò l’epoca delle scorribande in Costa Azzurra, dove peraltro il giovane rampollo mise le basi per amicizie che gli furono utili più tardi. Le cronache si occupavano di questo periodo dorato e nasceva qualche preoccupazione per il futuro dell’azienda, che un giorno sarebbe stata affidata al Principe Molle, come qualcuno l’aveva definito. Nel 1966, la svolta. Agnelli, a colloquio con Valletta, gli disse semplicemente: “Adesso tocca a me“.
Per Valletta, ormai anziano, la Fiat era stata la ragione di esistere. Gli domandarono cosa avrebbe fatto: rispose che sperava di andarsene presto, almeno così riportarono i bene informati. Morì appena l’anno dopo. Agnelli ereditò un’azienda sana, che aveva motorizzato l’Italia e che deteneva quasi il monopolio delle vendite: nel 1970, il settanta per cento del parco circolante era Fiat. Ma furono anche gli anni delle prime lotte sindacali, dell’autunno caldo, della prima crisi petrolifera del 1973. Agnelli cercò il dialogo.
Da Presidente di Confindustria sottoscrisse l’accordo Agnelli-Lama sulla scala mobile, successivamente criticato in quanto, legando i salari al costo della vita avrebbe determinato non la frenata dell’inflazione ma anzi la sua ascesa. Tuttavia, l’accordo va letto con i canoni e il contesto di allora, che suggeriva la tregua sociale. Il Gruppo Fiat, tra la fine degli anni sessanta e la metà degli ottanta acquisì parecchi marchi, Lancia, Autobianchi, Alfa Romeo su tutti, salvandoli dal default. Nel 1969, Agnelli rilevò la maggioranza azionaria della Ferrari, a sua volta in difficoltà e oggetto delle attenzioni di Henry Ford II.
Agnelli fu perspicace e lasciò la gestione al Grande Vecchio Enzo Ferrari. La nuova società aveva assunto la denominazione SEFAC SpA. Uno spirito attento declinò l’acronimo in Sempre È Ferrari A Comandare. Agnelli allargò gli orizzonti del Gruppo, alla finanza – la Gemina – e ad altri settori non strettamente legati alle quattro ruote. Diventò presto un uomo di peso e prestigio internazionale, di fatto l’Ambasciatore dell’Italia nel mondo. Fellini disse di lui: “Mettetelo a cavallo, mettetegli un elmo in testa, è un re”. E divenne anche, forse al di là della sua volontà, un personaggio alla moda, con l’orologio sul polsino e la cravatta sul maglione. Con la sua morte, finì il Novecento, il secolo breve, infiammato da conflitti cruenti ma anche, dal secondo dopoguerra, caratterizzato da una forte espansione. Agnelli era simbolo e direi garante di un’era di stabilità persa per sempre.