La scuola, luogo di condivisione
La scuola, il luogo in cui stiamo trascorrendo la maggior parte della nostra vita, da studentesse prima e in qualità di docenti da molto più tempo.
Con l’annuncio della chiusura e, quindi del fermo della quasi totalità delle attività, siamo stati catapultati in una nuova dimensione, che avevamo immaginato per un tempo più breve.
Dopo lunghe settimane è arrivato il momento della ripartenza, ma non per la scuola. Sembra, addirittura, incerta la riapertura a settembre, almeno nella sua fondamentale e dovuta normalità.
In questo tempo “sospeso” ci è venuta in aiuto la didattica a distanza che ha preso il posto della conosciuta e consolidata lezione in presenza, tra i banchi delle aule e i laboratori di vario tipo.
Non è stato facile, da docenti, ideare nuove modalità di insegnamento che potessero tradursi in un lavoro fruibile e produttivo per tutti, e, da alunni, dover pensare ad una nuova organizzazione del tempo, scandito da videolezioni, materiali da scaricare, ma fondamentalmente caratterizzato dal vuoto, dall’assenza anche di altri momenti di vita, sport e divertimento.
Ci siamo messi in gioco da entrambe le parti, abbiamo messo in campo tutti i possibili strumenti utili a sostituire una normale lezione, come, ad esempio, la registrazione dell’argomento con il supporto di materiali multimediali/digitali, mezzo perfetto per lasciare traccia, adatto per ripassare, ma che non può sostituire quel momento di attività in classe partecipata e sollecitata da domande e da tanti modi diversi di raccontare lo stesso fatto. Gli incontri sulle varie piattaforme digitali che costringono tutti dentro quel riquadro dal quale arrivano gli interventi spesso disturbati da una connessione imperfetta, dal passaggio o dalle parole di fratelli/figli/mariti/mogli, dalla vita casalinga, in cui ciascuno accende a turno la propria voce e, se possibile, mostra il proprio viso.
La classe è fisicità, è incontro, è rumore, è silenzio, è condivisione, è movimento, è vita.
Sicuramente la tecnologia è stata di grande aiuto per rimanere in contatto, un modo per regalare quotidianamente una parvenza di normalità, per continuare ad insegnare e ad apprendere. Ma come si può pensare che per i bambini e i ragazzi sia stato un tempo ben sfruttato o ben vissuto? Come si può ritenere espressione di vera umanità un dialogo attraverso uno schermo? Come si può credere che gli strumenti alternativi possano raggiungere e comprendere tutti ?
Ci siamo posti queste domande, noi insegnanti, nei nostri sporadici incontri virtuali, senza aver avuto modo di sviscerare il problema, perché anche noi siamo stati distanti, abbiamo perso la quotidianità del nostro lavoro. Se lo sono chiesto i genitori, alcuni di loro lo hanno scritto, ma non hanno potuto condividere il disagio e le difficoltà incontrate nel gestire lo studio dei loro figli, soprattutto di quelli più piccoli. Ci hanno riflettuto i ragazzi, che hanno avuto sentimenti contrastanti, la tranquillità e il silenzio per lavorare con i propri ritmi, ma anche il desiderio di tornare a stare con i compagni e con gli insegnanti in un mondo a loro familiare e che è stato loro negato.
L’attenzione è ora rivolta a come riprendere le lezioni a settembre. La fantasia e l’improvvisazione sono senza limiti: doppi turni, una parte della classe online e la restante in aula, lezioni più brevi, mascherine e plexiglass. Soluzioni che non arrivano al nocciolo del problema: l’inadeguatezza di molte strutture scolastiche.
Da ormai troppi anni non si pensa ad un vero piano di investimento nell’edilizia scolastica, se non mettendo in atto sporadici interventi di manutenzione per rispondere alla normativa di turno.
Persino nella ricca Valle d’Aosta non ci sono edifici adeguati, soprattutto per le scuole superiori e così, da diversi anni, ogni anno, assistiamo alla contrattazione delle aule tra i dirigenti e al peregrinare di docenti da una sede all’altra. Si è preferito spendere per il campus universitario, anziché pensare che quello avrebbe potuto essere il luogo adeguato, bello e funzionale per i nostri studenti, con classi sufficienti, aula magna, palestre, spazi esterni dove trascorrere una buona parte della loro giornata. Una scuola al centro della comunità, con gli annessi e connessi vantaggi per la città di Aosta.
Nessuno si è speso per mettere la scuola, intesa come luogo fisico, al centro delle scelte politiche, delle contrattazioni sindacali, dei dibattiti televisivi.
La politica non riconosce (o non vuole riconoscere) il valore di quella fucina in cui una moltitudine di persone cresce insieme, si forma, discute, si diverte e dove i bambini e i ragazzi imparano, innanzitutto, a diventare cittadini consapevoli, per poi diventare figure professionali occupate nei tanti e diversi settori economici e sociali.
Così, allo stesso modo, nel tempo si sono succeduti decreti e leggi per la modifica dell’esame di Stato, piuttosto che della valutazione degli apprendimenti, voto o giudizio, promozione indiscriminata o assegnazione di debiti, per poi arrivare ad una sequenza di riforme, che il più delle volte ha generato una serie di acronimi incomprensibili per i non addetti ai lavori, senza realizzare un “prodotto” nuovo e di qualità.
I sindacati, da parte loro, promuovono i soliti e ormai desueti scioperi per richiedere il rinnovo del contratto, per l’immissione in ruolo dei precari o la sicurezza sul lavoro.
Anche in questo caso non c’è un vero progetto di scuola. Il riconoscimento del valore della figura dell’insegnante passa attraverso la richiesta di procedure chiare e tempi certi per l’assunzione di persone valide e competenti, di far emergere il tanto “lavoro sommerso” che non solo genera lezioni in aula, ma una miriade di attività e di proposte. E’ necessaria una “battaglia”per garantire una formazione di qualità, per la definizione di un progetto che permetta a tutti i ragazzi di crescere e di migliorare e nel contempo di essere valorizzati in un contesto sociale ed economico sempre più complesso.
Infine, due parole sui mezzi di informazione che dedicano alla scuola il tempo sufficiente per dare notizie di cronaca, la caduta di calcinacci, le classi pollaio, i docenti impreparati o violenti. In questi mesi l’obiettivo principale è stato enfatizzare la didattica a distanza, sottolineando la vecchiezza della nostra scuola, poco tecnologica e non al passo coi tempi. Ma degli intensi momenti che passiamo insieme, docenti e studenti, nessuno ne parla.
In quel luogo, lontano dalle mura di casa, trascorre il periodo più importante della vita e diventa uno spazio intimo, che resterà impresso nella memoria di ognuno di noi.
Illa Milesi
Maria Teresa Riggio