Cattiva festa del papà!

Ogni anno il 19 marzo si celebra la festa del papà: in questo articolo di “Incontri ravvicinati con AIACE”, vi suggeriamo 5 titoli sui padri del cinema che, volenti o nolenti, hanno lasciato parecchi traumi da risolvere ai loro figli o figliastri.
Star wars
Incontri ravvicinati con AIACE

“Io… sono tuo padre”, diceva il peggior papà villain di sempre nel cult movie sulle battaglie siderali. Ma è davvero l’unica figura paterna pessima del cinema? Assolutamente no. Ogni anno il 19 marzo si celebra la festa del papà: in questo articolo di “Incontri ravvicinati con AIACE”, vi suggeriamo 5 titoli sui padri del cinema che, volenti o nolenti, hanno lasciato parecchi traumi da risolvere ai loro figli o figliastri.

Lolita
Lolita

 

LOLITA di Stanley Kubrick, disponibile su Sky e NOW

USA, UK; 1962; drammatico, commedia nera

Kubrick si appropria del romanzo di Vladimir Nabokov, lo taglia, lo rielabora, lo porta sul grande schermo sfidando il perbenismo culturale dell’America di provincia. Il suo protagonista è una figura paterna perversa e problematica, carica di ogni tabù (pedofilia, incesto…) che la storia del cinema ha sempre cercato di ignorare.

La vicenda del libro e del film è nota: Humbert Humbert, professore di mezza età che giunge in una piccola cittadina, comincia a nutrire una passione morbosa verso la piccola Lolita. Un nome così lezioso, lirico, languido, che si insinua nella mente dell’uomo fino al più perturbante dei fanatismi. Non esiste nulla al di fuori di Lolita, e per Lolita non deve esistere nulla al di fuori del suo patrigno. Sì, perché da semplice inquilino diventa marito della madre della ninfetta, per poi restare vedovo e unico garante della ragazza.

Come spesso accade nella sua filmografia, Kubrick si serve di un testo culturalmente noto per distorcere un ambiente familiare e accogliente, ponendo al centro un’umanità da analizzare e mettere in discussione. Riesce con rigore e uno stile inconfondibile a scavare nel fondo degli impulsi più oscuri della sua psiche, diventando uno dei più grandi maestri in grado di adattare un romanzo per il cinema, nel vero senso della parola. Non trae semplicemente la prosa di Nabokov, ma la trasforma a suo piacimento in puro linguaggio cinematografico e secondo la sua personalissima visione. E quale modo migliore per farlo se non calare completamente il punto di vista e la focalizzazione dello spettatore nella mente di Humbert? Lolita sta tentando di sedurlo, attraverso quegli occhiali da sole a forma di cuoricini, o forse vediamo quello che pensa di vedere lui? All’ambiguità della narrazione contribuisce anche la presenza di un personaggio onnipresente, Clare Quilty, interpretato da Peter Sellers in versione camaleonte, che di volta in volta indossa una nuova maschera. Demiurgo o buffone? Così non riusciamo a distinguere il vero dal falso, non assumiamo mai lo sguardo di qualcuno al di fuori di Humbert.

Ma il futuro ispettore Clouseau è soltanto uno dei magnifici attori che recitano nel film: James Mason, che nella sua carriera ha numerose volte affrontato ruoli “scabrosi”, come in Bigger than life di Nicholas Ray, è Humbert; la tredicenne Sue Lyon è Lolita, il suo ruolo della vita; Shelley Winters la madre. Kubrick poi sfrutta elementi sonori pop per leggerli sotto la chiave del perturbante freudiano: come accadrà con la filastrocca di Hal 9000 in 2001: odissea nello spazio, il proverbio ripetuto all’infinito in Shining e la canzone di Topolino in Full metal jacket, qui la canzonetta innocente Lolita ya ya, esemplifica il motivo ricorrente della perdita della ragione di un uomo alla deriva, che finisce per commettere un’omicidio in nome di un’ossessione. Questo è l’unico modo con cui si può chiamare, di certo non si tratta di amore paterno.

Per altre figure paterne kubrickiane che rasentano il caso clinico-psichiatrico, torna al caro, dolce e premuroso Jack Torrance di Shining (1980), che si diverte a giocare a nascondino e chiapparella, con quel rassicurante sorriso.

 

C'era una volta un'estate
C’era una volta un’estate

C’ERA UNA VOLTA UN’ESTATE di Nat Faxon e Jim Rash, disponibile su Prime Video

USA; 2013; commedia, drammatico

Duncan (Liam James), 14 anni, figlio unico di una coppia recentemente divorziata, trascurato dal padre è trascinato dalla madre (la sola e unica Toni Collette) in una lunga vacanza estiva con Trent, il suo nuovo compagno (Steve Carell) e la figlia di lui. Un cocktail già letale per qualsiasi adolescente, a cui si aggiunge il fatto che il caro Trent è un uomo borioso e arrogante che sente la necessità costante di far sentire il giovane Duncan fuori posto e fuori forma. Per grazia divina, Duncan nel suo girovagare per la città si imbatte in Owen (Sam Rockwell), proprietario dello scombinato parco acquatico Water Wizz che gli offre un lavoro e soprattutto l’occasione di passare l’estate in un luogo dove sentirsi accettato e benvenuto. I colleghi diventeranno una sorta di seconda famiglia, dove Duncan è di gran lunga il meno bizzarro, e Owen diventerà una sorta di fratello maggiore.

Presentato al festival di Sundance nel 2013, Way, way back (titolo originale del film) è scritto e diretto da Nat Faxon e Jim Rash che si sono anche ritagliati due piccoli ruoli nel film (per i fan della meravigliosa sit com Community, Jim Rash lì interpretava il preside), un duo comico specializzato nella commedia agrodolce che aveva già sperimentato la scrittura a più mani per il film Paradiso amaro del 2011 che gli era valso l’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale. I due riescono a creare una commedia coming of age intelligente e brillante, ma soprattutto, ed è il motivo per cui questo film trova il suo spazio nella lista di questo mese, sono riusciti a portare sullo schermo uno dei padri più fastidiosi, pedanti e machisti di sempre, tale da rischiare di farci odiare pure Steve Carell (non esageriamo, non potremmo mai odiarlo) la cui grande interpretazione ci convince che possa davvero essere un misogino traditore ed egoista. Ma non temete: lui sarà soprattutto il male necessario per ricucire il rapporto tra Duncan e sua madre, protagonisti indiscussi di questa dolce e simpatica pellicola.

Se avete bisogno di sciacquarvi gli occhi con uno Steve Carell più gentile, consigliamo la visione di Little Miss Sunshine su Disney+ o una sana maratona della serie The Office – US su Prime.

 

Mine vaganti
Mine vaganti

MINE VAGANTI di Ferzan Özpetek, disponibile su Netflix e Disney +

Italia; 2010; commedia, drammatico

Nella Lecce degli anni 2000, la famiglia Cantone ha fondato la sua facciata di rispettabilità sulla tradizione e sui valori borghesi. La loro azienda a conduzione familiare è un vero punto di riferimento in città, un grande motivo di orgoglio. Per Vincenzo (Ennio Fantastichini), il padre di famiglia che ha costruito questa fortuna con le sue mani, non potrebbe andare meglio di così. Poi, da un giorno all’altro, si ritrova su un letto di ospedale a rischio di infarto, perché il suo figlio prediletto ha fatto coming out durante una cena d’affari. Come racconta Ferzan Özpetek in questa divertente ma profonda commedia, “l’unica cosa più complicata dell’amore è la famiglia”.

Una ragazza vestita da sposa fugge a perdifiato da un destino che non vuole, da un uomo che non ama. Vive, però, in un’epoca in cui per lei non c’è scelta, nonostante il suo carattere ribelle. Sessant’anni dopo, tutti i suoi famigliari la chiamano la “mina vagante”, è diventata una nonna non convenzionale. Dopo un lungo periodo trascorso a Roma, suo nipote Tommaso (Riccardo Scamarcio) torna nella sua città natale, Lecce, per passare qualche giorno con la sua famiglia. Ad aspettarlo impazientemente trova sua madre Stefania (Lunetta Savino), una presenza dolce quanto soffocante, sua zia Luciana (Elena Sofia Ricci), una donna di mezza età dipendente dai pettegolezzi e dall’alcol, sua sorella Elena (Bianca Nappi) con il marito, continuamente bistrattati per i loro modi sempliciotti. Ma il vero cardine intorno a cui ruota tutta la famiglia è il padre Vincenzo, un uomo severo e all’antica, interpretato magistralmente da Ennio Fantastichini. Solo la nonna (Ilaria Occhini) riesce a tenergli testa. Appena arrivato, Tommaso confida al fratello Antonio (Alessandro Preziosi), il figlio preferito, che nasconde tre segreti. Non ha mai studiato economia a Roma, ma ha frequentato la facoltà di lettere. Desidera, infatti, fare lo scrittore ed è in attesa di una risposta da parte di una casa editrice. Terzo punto, ma forse il più cruciale, ha un fidanzato che lo aspetta nella capitale.

Pur consapevole che la sua famiglia non accetterà mai tutto ciò, Tommaso è determinato a uscire allo scoperto durante un’imminente cena d’affari, per poi preparare le valigie ed andarsene definitivamente da Lecce. Ogni responsabilità di figlio e di erede del pastificio ricadrà, quindi, sul fratello. Tuttavia, a cena succede qualcosa di inaspettato: Antonio si schiarisce la voce e fa coming out, suscitando una risposta furibonda da parte di suo padre. Il giovane uomo si alza da tavola, dove ormai è calato il gelo. Pochi istanti dopo, Vincenzo è colpito da un infarto, nulla di troppo grave, ma quando si risveglia in ospedale il pensiero è solo uno. Spera con tutto sé stesso che la voce sull’omosessualità di Antonio non sia circolata in città, ne andrebbe del suo nome. Il suo smarrimento dà origine a una reazione scomposta, quasi comica, che lo vede aggrapparsi all’unico figlio che considera essergli rimasto, Tommaso. Con la salute del padre a rischio, il ragazzo non può che rimandare le sue rivelazioni e, giorno dopo giorno, si trova intrappolato in una vita che non vuole, a capo del pastificio di famiglia e in compagnia di una donna, Alba (Nicole Grimaudo), per la quale non prova altro che amicizia. Per i Cantone, tuttavia, le sorprese non sono finite qui.

Ferzan Özpetek continua ad esplorare il tema della paternità nei suoi film Un giorno perfetto e La dea fortuna, due storie dal sapore dolceamaro che vi consigliamo, entrambe disponibili su Netflix.

 

Il petroliere
Il petroliere

IL PETROLIERE di Paul Thomas Anderson, disponibile su Paramount+

USA,2007,drammatico

Il petroliere di Paul Thomas Anderson, ispirato al romanzo Oil! di Upton Sinclair, ci immerge nell’America di inizio XX secolo seguendo la parabola di Daniel Plainview, un magnate del petrolio ossessionato dalla sete di potere e successo.

Interpretato con una maestria senza pari da Daniel Day-Lewis, Plainview è un uomo che, nella sua ascesa implacabile, incarna la figura dell’imprenditore americano portato agli estremi, capace di qualsiasi sacrificio pur di raggiungere i propri scopi. La performance di Day-Lewis è monumentale: l’attore britannico forgia un personaggio tanto complesso quanto indimenticabile, la cui profondità emotiva emerge in ogni sguardo e gesto. Contrapposto a Plainview, troviamo il personaggio di Paul Dano, Eli Sunday, un giovane predicatore carismatico che rappresenta sia l’opportunismo religioso sia un sottile specchio delle ambizioni e delle manipolazioni di Plainview. Dano offre una performance straordinaria creando un duello psicologico ed emotivo con Day-Lewis che accentua ulteriormente la complessità delle dinamiche di potere nel film. La relazione tra Plainview e Sunday è tesa e innesca un conflitto tra due visioni del mondo che si scontrano su basi morali, economiche e personali e arricchiscono la narrazione con una profonda riflessione sulle tematiche della fede, dell’integrità e dell’avidità. Al centro della storia c’è la tragica figura paterna di Plainview, la cui incapacità di amare veramente va oltre la mera manipolazione. Questo tratto emerge più chiaramente nella sua relazione con H.W., che adotta dopo la morte del padre in seguito a un incidente sul posto di lavoro, rendendo il ragazzo parte integrante della sua immagine pubblica come uomo d’affari e padre. Tuttavia, nonostante questa premessa che potrebbe suggerire un certo livello di affetto o di cura, il rapporto tra Daniel e H.W. è profondamente segnato dall’incapacità di Daniel di mostrare un vero amore paterno. La relazione è complicata e funzionale più agli affari che non alla famiglia, con Daniel che utilizza H.W. come un mezzo per ingraziarsi le comunità e facilitare i suoi affari. La svolta tragica nel rapporto tra Daniel e suo figlio si verifica quando quest’ultimo perde l’udito in seguito a un’esplosione. Questo incidente funge da rivelatore, esponendo le profondità e le fragilità del loro legame. Più che preoccupazione paterna, la reazione di Daniel è permeata da una palpabile frustrazione, radicata non tanto nella mera incomprensione di come affrontare le necessità del figlio, quanto nella sua profonda avversione e timore nei confronti dell’amore, un sentimento estraneo e scomodo per lui. Questo episodio illumina con crudele chiarezza l’incapacità di Daniel di accogliere e esprimere affetto genuino, svelando una fenditura emotiva che si allarga sotto il peso della sua stessa negazione. La crescente distanza emotiva tra Daniel e H.W. è ulteriormente esacerbata dalla decisione di mandare via il figlio in seguito all’incidente, un atto che simboleggia il suo completo abbandono del ruolo paterno in favore della sua ossessione per il potere e il successo. Questo gesto segna definitivamente la frattura nel loro rapporto, sottolineando l’incapacità di Daniel di conciliare il suo amore per il potere con un autentico legame familiare. Il petroliere non è solo la storia di un uomo e del suo impero, ma anche un’indagine sulla natura stessa dell’umanità, sulla ricerca di significato in un mondo guidato dal desiderio di potere e dalla competizione. Anderson, con l’aiuto di Day-Lewis e Dano, ci offre un’opera che è allo stesso tempo una riflessione sul sogno americano e un’esplorazione della capacità umana di autodistruzione. La performance di Day-Lewis, in particolare, rimane un punto di riferimento assoluto, dimostrando come l’arte della recitazione possa elevarsi a una forma di verità profonda e commovente.
Paul Thomas Anderson affronta con maestria il tema complesso e spesso doloroso del rapporto padre-figlio anche in Magnolia, film corale con un cast a dir poco strepitoso, che ovviamente vi consigliamo di recuperare.

I tenenbaum
I tenenbaum

I TENENBAUM di Wes Anderson, disponibile su Disney+

USA; 2001; commedia

Royal Tenenbaum, interpretato in maniera brillante da Gene Hackman, è il patriarca della famiglia Tenenbaum, nucleo centrale intorno al quale si dipana l’intera trama de I Tenenbaum di Wes Anderson. La sua figura, emblematica del prototipo di “peggior padre” preso in analisi dall’articolo, è fondamentale per comprendere la complessità dei rapporti familiari all’interno del film.

La storia segue le vicissitudini dei Tenenbaum, una famiglia di geni in declino, dopo che Royal ha annunciato di essere gravemente malato, una menzogna congegnata per riconquistare l’affetto dei suoi figli adulti e della sua ex moglie, Etheline (Anjelica Huston). Questo tentativo di riunificazione forzata funge da catalizzatore per esplorare le dinamiche spezzate tra i membri della famiglia, ognuno alle prese con i propri fallimenti personali e professionali. Royal, con il suo ritorno, sconvolge la precaria stabilità dei Tenenbaum, portando alla luce vecchie ferite e conflitti irrisolti. Il ruolo cruciale del padre nella narrazione risiede nella sua capacità di agire come un elemento di disturbo, che, paradossalmente, stimola i personaggi a confrontarsi con i propri demoni interiori e, infine, a cercare una forma di riconciliazione. La figura di Royal incarna al meglio il prototipo del padre fallibile, egoista e manipolatore, che tuttavia riesce a evolversi, mostrando momenti di genuina premura e vulnerabilità. Nonostante tutti i suoi comportamenti inopportuni, la figura di Royal suscita empatia nello spettatore. Questo sentimento è frutto della maestria narrativa di Anderson e della performance sfaccettata di Hackman, che riescono a far emergere la complessità emotiva del personaggio. Dietro l’apparente insensibilità e il cinismo di Royal, si cela una profonda insofferenza per i suoi stessi fallimenti e per il tempo perduto con la sua famiglia. La sua lotta per il riscatto personale e familiare rivela un desiderio di appartenenza e di amore dimostrando che, nonostante le imperfezioni, la possibilità di cambiamento e redenzione sia possibile. La storia dei Tenenbaum, con i suoi alti e bassi, rispecchia la complessa bellezza delle relazioni familiari, ricordandoci che esiste sempre la possibilità di un nuovo inizio. Royal, con la sua imperfetta ricerca di riscatto, ci insegna una lezione fondamentale: non è mai troppo tardi per tentare di riparare i legami spezzati e di mostrare amore, anche nei modi più imperfetti. Royal Tenenbaum, nel suo percorso da “peggior padre” a inaspettato eroe, ci dimostra che il cammino verso una versione migliore di sé stessi inizia con il coraggio di affrontare i propri errori, abbracciando con umiltà la possibilità di cambiare.

Se I Tenenbaum vi ha ammaliato non perdetevi Il treno per il Darjeeling, un altro capolavoro di Wes Anderson che indaga il tema della famiglia con uno sguardo altrettanto penetrante e commovente. Disponibile su Disney+.

 

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