“A volte le mie amiche mi dicono che sono fuori dal mondo…per forza, tra il lavoro e la famiglia ho poco tempo per la vita mondana. Il lavoro nelle vigne è solitario, è una questione di carattere: a me piace, non mi pesa non vedere nessuno”. Questa è Agnese Rollandin, vigneronne di Verrayes da oltre vent’anni, che gestisce da sola più di un ettaro e mezzo di vigneti con l’aiuto del marito Ugo Philippot e che ha iniziato quest’avventura “quasi per scherzo”.
Prima di sposarsi, Agnese lavorava come cameriera a Valtournenche; la vita famigliare l’ha portata a Verrayes e, una volta disoccupata, ha pensato di creare un’azienda viticola seguendo il corso per giovani agricoltori nel 1999. “Siamo partiti da zero, non sapevamo neanche potare e in due anni dovevamo essere operativi”, racconta. “Abbiamo comprato i terreni, più di 30 atti in un anno, poi abbiamo accorpato tutto grazie a mio marito, che fa l’escavatorista. Abbiamo fatto tutto da noi, anche l’impianto di irrigazione a goccia. È stata una bella sudata, un’avventura che a pensarci ora…altri tempi”.
Agnese Rollandin produce tre uve doc – gamay, moscato e muller – che conferisce alla cooperativa Crotta di Vegnerons di Chambave. Un lavoro fisico molto duro, che d’estate inizia alle 5 del mattino e va avanti fino a sera e che non permette giorni di pausa perché “la vegetazione non aspetta”, a cui si aggiungono le ore di corvée in cooperativa. Talmente duro che Agnese e Ugo, su consiglio del medico, si prendevano qualche giorno a novembre per fare i fanghi: “Tra la postura e gli anni che avanzano, la schiena e le ossa iniziano a far male. Subito abbiamo preso il consiglio del medico sul ridere, ma ora che sono due anni che non possiamo fare i fanghi ci rendiamo conto del benessere che ci dava”.
Al di là dello sforzo fisico, la fatica del lavoro nelle vigne inizia a farsi sentire anche economicamente nella vita di Agnese Rollandin: “Se dovessi tornare indietro ci penserei su”, dice. “Il lavoro mi piace, mi sono sempre trovata bene e, anche se la sera arrivo stanchissima, sono soddisfatta. Però le ore di lavoro e la fatica non sono proporzionate al guadagno, e per di più i soldi dalla cooperativa arrivano con grande ritardo. Se non ci fosse mio marito con il suo lavoro sarei obbligata ad abbandonare: i contributi, le tasse, il gasolio eccetera bisogna pagarli”.
Anche i due figli danno una mano ogni tanto, ma il loro futuro non è nel mondo agricolo: “Mio figlio fa l’autista e mia figlia vuole diventare maestra. Non abbiamo mai contato su di loro, non ha senso obbligarli perché ognuno deve fare quello per cui è portato. Mio suocero fa l’agricoltore e non se ne capacita, ma per me e mio marito se dopo di noi l’azienda chiuderà non è un dramma”.