Ora che da settimane siamo tornati a vivere, nostro malgrado, in quel passato apparentemente arcaico ma ancora nella memoria di molti, in cui prendere un aereo era un’avventura, si passava il tempo libero a chiacchierare al balcone e le esperienze infantili si esaurivano nel perimetro circoscritto del cortile di casa, è inevitabile cominciare a tirare le somme di come tutti noi, soprattutto noi genitori, abbiamo affrontato la clausura domestica.
Sui bambini si è scritto e parlato molto negli ultimi tempi: all’inizio completamente ignorati dai decreti del presidente del Consiglio, in seguito vagamenti presi in considerazione con la riapertura delle librerie e delle cartolibrerie e la possibilità concessa, anche a loro, di uscire a sgambare “in prossimità” della propria abitazione per accompagnare uno dei genitori nelle uscite concesse. Agli adulti di casa rimane il compito non facile di difendere con i denti la stabilità psico emotiva dell’ultima istituzione non ancora collassata a causa del coronavirus, l’unica squadra che non può permettersi la ritirata: l’organizzazione familiare, sempre più fragile economicamente e sempre più messa alla prova nella sua tenuta educativa dal telelavoro, dalla didattica a distanza e dalle situazioni di conflitto che si inaspriscono con il prolungarsi dell’isolamento.
Il rischio di saturazione e di burn-out genitoriale è dietro l’angolo, ma non si può mollare, perché l’isolamento porta anche la consapevolezza di essere rimasti soli. Per le famiglie con bambini in età prescolare, che non subiscono l’incombenza quotidiana della didattica a distanza, la situazione è ancora diversa: da un momento all’altro ci siamo ritrovati nell’obbligo urgente di acquisire le competenze adatte a stimolare i nostri figli con attività finora appannaggio di quella comunità educante di tipo sociale alla quale noi, a volte precocemente per necessità lavorative, abbiamo affidato i nostri figli.
Sulle madri, da sempre maggiormente implicate nel ruolo di cura familiare, grava un peso ancora maggiore: dobbiamo evitare il rischio di regressione dell’autonomia dei nostri figli indotto da atteggiamenti di maternage eccessivo ai quali potremmo abbandonarci in questo periodo di vita simbiotica, ma allo stesso tempo abbiamo l’obbligo di mostrarci serene e ottimiste, accondiscendenti nel gioco ma autorevoli nel momento dei compiti, nella continua ricerca di un equilibrio sempre più difficile.
Ed ecco che questa emergenza sanitaria ci ha restituito, così inaspettatamente, qualcosa a cui avevamo rinunciato senza pensarci e che avevamo quasi dimenticato da quando i nostri figli (prima col nido, con i nonni, la tata, o con l’ingresso alla scuola dell’Infanzia) cominciavano a vivere, spesso ancora neonati, una vita parallela fuori dall’orbita domestica: una responsabilità genitoriale educativa a tutto tondo.
Tocca a noi, ora, riappropriarci al meglio di questo ruolo, e trarne più insegnamenti possibili. Questo periodo è un’occasione inedita e irripetibile che noi genitori abbiamo per tornare ad essere nuovamente responsabili di quello che i nostri figli mangiano, di quello che imparano, dei loro ritmi e delle loro attività. Unico rischio da evitare: cedere alla pressione del nostro primigenio desiderio di controllo su di loro.
La riappropriazione del nostro ruolo educativo ci sta dando strumenti e competenze preziosissime, che altrimenti non avremmo mai avuto la possibilità di acquisire, e che si riveleranno risorse utili anche a emergenza conclusa. Nel futuro saremo chiamati ad affrontare un’altra sfida: abituare nuovamente i nostri figli, dopo il trauma dell’isolamento e i mesi di pressioni psicologiche riguardo al rischio di contagio, al momento in cui dovranno tornare a frequentare i loro pari. Di nuovo, dovremo saper gestire situazioni senza precedenti e, verosimilmente, senza un adeguato supporto.
Ma di una cosa possiamo già andare fieri: quando l’angoscia e la paura andranno via, resterà la consapevolezza di aver attraversato la bufera senza aver mai lasciato la mano dei nostri bambini e delle nostre bambine.
Tania Castellan