Il glutine è una molecola formata da due proteine: la glutenina e la gliadina. In realtà il glutine non è presente inizialmente nel chicco del cereale, nel quale invece ci sono le due proteine glutenina e gliadina libere. Nel momento in cui, alla farina di questi cereali si aggiunge l’acqua, questa fa avvicinare e legare fra loro le due proteine per formare il glutine.
Una volta formatosi, il glutine crea una specie di rete tridimensionale nelle cui maglie rimangono intrappolate delle bolle d’aria che si formano durante la lievitazione del pane.
Durante la lievitazione, i lieviti trasformano lo zucchero, derivante dall’amido contenuto nelle farine dell’impasto, in alcool etilico e anidride carbonica: tale gas è quello che fa “gonfiare” l’impasto. La caratteristica di non fare fuoriuscire il gas, determinando così l’aumento del volume dell’impasto, è legata alla resistenza e all’elastica della maglia tridimensionale che si è creata. La formazione finale del glutine avviene sottoponendo tale preparazione a calore, cioè con la cottura.
Una farina, con alto contenuto di glutine, si dice “forte”. Se la farina è troppo “debole”, durante la lievitazione l’anidride carbonica si espande, rompe le maglie del reticolo glutinico e il pane si “affloscia”. In definitiva il glutine, per la sua caratteristica struttura chimica, conferisce agli impasti viscosità, elasticità e coesione.
Pertanto la quantità e la qualità di glutine presenti in una farina è un importante indice per valutarne la qualità commerciale e l’attitudine alla panificazione.
Tra le farine a più alto contenuto di glutine si trova la farina manitoba che è una farina di grano tenero (Triticum aestivum) originario dell’America; oggi tutte le farine cosiddette “forti”, cioè con elevata quantità di glutine, vengono chiamata manitoba. Questa farina viene utilizzata per tutte quelle lavorazioni che necessitano di particolare sofficità; oggi viene impiegata soprattutto nei panettoni, nei pandori, nei cornetti, nelle focacce anche se le originali lavorazioni tradizionali non l’avevano a disposizione e la sofficità del prodotto veniva conferita ponendo particolare attenzione alla lievitazione.
Nei grani antichi come il farro, il grano saragolla, il grano Khamut Khorasan il glutine è circa 1/3 in meno rispetto alle moderne varietà di frumento (Triticum aestivum).
Durante la digestione intestinale il glutine si idrolizza in peptidi, cioè si spezzetta in proteine più piccole. La digestione avviene ad opera di enzimi chiamati transglutaminasi intestinali. In alcuni soggetti predisposti, ad un certo punto della loro vita, si sviluppano anticorpi anti-transglutaminasi: questi anticorpi distruggono gli enzimi che dovrebbero digerire il glutine, il quale rimane quindi indigerito o mal digerito e va ad infiammare l’intestino (intolleranza al glutine e gluten sensivity). Le reazioni avverse al glutine possono scatenare diversi sintomi quali gonfiore addominale, emicranie, diarrea, alterazioni del sistema neurovegetativo, tenendo conto che la manifestazione sintomatica è legata alla quantità assunta.
Alcuni peptidi derivati dal glutine, in soggetti sensibili, provocano reazioni immunitarie abnormi: in questi casi i linfociti T attaccano le cellule dei villi intestinali come se fossero agenti estranei e pericolosi, portando ad uno stato patologico chiamato celiachia o morbo celiaco.
Presso l’Istituto di Scienze dell’Alimentazione del CNR di Avellino sono state avviate delle ricerche interessanti che hanno evidenziato come il glutine di un’antica varietà di Grano Monococco, chiamato Piccolo farro, pur non essendo tollerato dai celiaci, appare più digeribile di quello contenuto nelle moderne varietà di grano, quindi rappresenta un’ottima alternativa per i soggetti che manifestano evidenti sintomi di sensibilità al glutine.
Il dottore Mazzarella, ricercatore dell’Istituto, ha sottolineato che se la celiachia coinvolge circa l’1% della popolazione mondiale, la frequenza della sensibilità al glutine è calcolata intorno al 6%; il dilemma che divide il mondo scientifico è la diagnosi in quanto non esiste un marcatore che riesca ad individuarla come avviene per la celiachia, anche se la sua esistenza è però un dato di fatto.
Dal punto di vista nutrizionale, poi, il piccolo farro e la maggior parte dei grani antichi si differenziano da quelli moderni perché hanno un alto contenuto di microelementi (ferro, zinco, magnesio, fosforo e potassio) e più antiossidanti. Infine il Monococco ha un indice glicemico inferiore rispetto al grano tenero e duro, ma anche rispetto a mais e riso; non determina quindi picchi di glicemia dopo l’ingestione, ma mantiene il livello di glucosio nel sangue costante.
Viste le loro caratteristiche, il consumo di questi grani è consigliabile per i soggetti diabetici, per le donne in gravidanza e per chiunque abbia notato gonfiore addominale, mal di testa, annebbiamento mentale, perfino ansia dopo aver consumato prodotti a base di frumento, dopo avere escluso eventuali situazioni patologiche riconducibili ad altre cause.