Covid, la seconda ondata è sotto controllo ma non bisogna abbassare la guardia

13 Dicembre 2020

Voglio ringraziare tutti coloro che hanno avuto la pazienza di leggere questa mia rubrica, in cui cerco di offrire qualche strumento di analisi e conoscenza della pandemia in corso.

In Valle d’Aosta l’andamento della seconda ondata continua ad essere favorevole relativamente ai sempre pochi parametri messi a disposizione dalle fonti ufficiali (Istituto Superiore di Sanità e Ministero della Salute).

Il dato più importante è quello della stima di Rt, che rappresenta l’andamento complessivo della pandemia. Com’è noto, quando questo parametro è superiore a 1 la diffusione del virus aumenta, quando è inferiore a 1 diminuisce e quando è uguale a 1 la diffusione è costante. Come un’automobile che accelera, rallenta o procede sempre alla stessa velocità.

Oggi vi propongo un confronto tra la Valle d’Aosta e le province autonome del Trentino Alto Adige, oltre a riportare la media dei valori dell’Italia nel suo complesso. Si tratta sempre di dati di incidenza settimanale riferiti per ciascun’area geografica a 100.000 abitanti.

I casi totali sono simili tra noi e Bolzano, i nostri ricoveri sia ordinari sia in Terapia Intensiva sono sempre i più elevati, anche se a Trento si sta verificando una pericolosa saturazione dei posti in Terapia Intensiva in controtendenza con il resto d’Italia, e, ciò che è più grave, abbiamo sempre la maglia nera per quanto riguarda i decessi, ancora più del doppio della media nazionale.

In sintesi la seconda ondata sembra comunque essere tenuta sotto controllo, ma rimane il fatto che il virus continua a circolare e gli strumenti di contenimento sono sostanzialmente affidati, indipendentemente dalle norme governative, ai nostri comportamenti individuali.

Vorrei che fosse chiaro a tutti lo scenario in cui ci muoviamo: essendo un virus che si trasmette soprattutto ma non solo per via respiratoria da un soggetto all’altro, soltanto una restrizione dei contatti sociali, l’uso di barriere fisiche (mascherine) ed il lavaggio delle mani e delle superfici contaminate può rallentarne la diffusione. La malattia che provoca di per sé è sempre la stessa, anche se abbiamo imparato a curarla più efficacemente e tempestivamente. La cosiddetta “clinica” non è cambiata granché. E la riduzione dei contagi è importante sia dal punto di vista individuale, riducendo il rischio di ammalarsi, sia da quello collettivo; si cerca così di evitare il collasso del nostro sistema sanitario, con il suo abnorme carico di lavoro cui si accompagna la riduzione delle risorse per tutte le altre patologie e pratiche assistenziali, che ovviamente sono rimaste sempre le stesse senza ridursi nel tempo. E’ un po’ quello che succede durante l’epidemia di influenza: pronti soccorso strapieni, saturazione dei posti-letto ospedalieri con riduzione o arresto delle normali attività assistenziali (pensiamo ad esempio agli interventi chirurgici programmati), medici di base che non riescono a soddisfare tutte le esigenze dei loro assistiti, sospensione degli screening di medicina preventiva. Solo che l’epidemia influenzale dura poco più di un mese, e negli anni ci siamo abituati ad essa, mentre questa pandemia non accenna a spegnersi.

Se i nostri comportamenti sociali ritorneranno a quella che ricordiamo come “normalità”, non possiamo aspettarci altro che una serie di ondate più o meno gravi alternate a periodi di misure restrittive più o meno rigide, almeno fino a quando la vaccinazione non sarà diffusa alla maggioranza della popolazione. Vi ricordo comunque che per il SARS-CoV-2 si stima che l’immunità di gregge sarà raggiunta quando il 60-70% della popolazione sarà vaccinata, per cui ci vorranno parecchi mesi (se non l’intero 2021).

Nell’immediato invece non vorrei che la concomitanza delle riaperture (tutte le regioni in zona gialla per Natale), le festività con l’aumento delle occasioni di socialità, la prossima inevitabile epidemia influenzale e i mesi invernali che favoriscono di per sé le infezioni da virus respiratori possano determinare una miscela esplosiva con una recrudescenza della pandemia.

Per concludere con un po’ di ottimismo, una nota di speranza potrà derivare dall’impiego degli anticorpi monoclonali, sia per la profilassi dei soggetti non contagiati che per qualsiasi motivo non potranno essere vaccinati, sia per la terapia dei malati. Questi farmaci, già in uso nei confronti di diverse malattie, non sono altro che anticorpi specifici contro il SARS-CoV-2, prodotti in laboratorio da cellule tutte uguali tra di loro, da cui il nome di monoclonali. Un po’ come la terapia con il plasma dei soggetti guariti, il cosiddetto plasma iperimmune, in cui si sfruttano gli anticorpi specifici contro il virus prodotti durante la malattia.

Al prossimo incontro.

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