Ieri sera mi sono portato la mia agenda in montagna, desideravo riempirla di parole come di solito quando sono lassù e invece gli spiriti e i vizi hanno preso il sopravvento, come di solito quando sono lassù. Non ho scritto nulla che avrei voluto riportare qui, mi sono goduto il cielo e le stelle, la luna quasi piena e la bottiglia quasi vuota. Dopo giorni passati tra intonaco e mattoni fare un salto in alto è stato benefico, mi sono goduto ogni singolo passo come l’orgasmo più bello, annientando il superfluo, lasciando spazio al presente, ma tutto ha senso prima dell’arrivo della marea e se sei sulla spiaggia al momento sbagliato la Natura può essere cattiva come una matrigna delle favole.
Stasera sono sceso sotto casa a procacciarmi la cena e durante la coda ho sentito un’alta voce dire che le mascherine non servono a niente, che tanto noi non moriremo di virus. Non ho risposto perché non volevo rovinarmi l’umore della sera prima, ho cominciato a pensare però. Per prima cosa al prezzo della libertà che è stata concessa a quella persona perché lui, il 7 maggio 2020, vada in giro a diffondere sentenze come riso ai matrimoni, al rispetto che il rispetto, perdonatemi la ripetizione, porta con sé con un gesto così piccolo quanto importante, e poi al fatto che magari non gli importasse tanto l’attaccamento alla vita delle persone che gli stanno lontane, o vicine.
Ho pensato a queste cose con la morte nel cuore, una morte che io posso permettermi il lusso di stipare lì, ma che tanti non possono nemmeno salutare. Una morte che in questi giorni statici ha movimentato coscienze e sentimenti, una morte diversa da quella a cui siamo abituati. E allora mi chiedo con quale cazzo di maturità lui si possa permettere l’esercizio di certe parole che gli è concesso proprio grazie alla scomparsa di persone che hanno combattuto e sofferto tanti anni or sono.
Sia chiaro che questo discorso vale al bar ma vale soprattutto sui social dove io bandirei il libero commento agli articoli di testate giornalistiche, ma non per evitare di leggere l’ignoranza e la bruttezza, perché di questo si tratta, ma perché semplicemente non ha ragione di esistere, non porta a nessun dialogo costruttivo, al contrario invece distrugge il libero pensiero perché lo costringe a tornanti che distraggono dall’argomento e portano il guidatore a focalizzarsi sul volante.
Guidare quindi diventa attenzione e non naturalezza, un esercizio che si trasforma in compito. L’assenza di libertà, altra parola fagocitata e vomitata in questi giorni di assenza sociale, usufruita come gli sconti ai baracconi da chi come noi non ha mai subito il suo significato più duro ed estremo, da chi si lamenta di non poter uscire da una casa col giardino e il corriere di Amazon che bussa alla sua porta più di una madre ansiosa, una libertà che ci appartiene solamente perché data da un potere d’acquisto relativamente alto, una libertà che ci è concessa fino a prova contraria, e quanti di voi vorrebbero un termine di paragone?
Mi chiedo cosa ci abbiano insegnato questi giorni di pausa forzata, se veramente sono stati colti come fiori di montagna o se non vediamo l’ora di strapparli per farci belli davanti alla ragazza dei nostri sogni. Onestamente rimango interdetto di fronte a questa domanda, abbiamo esempi che ci circondano ma continuiamo a guardarli come se fossero il lato oscuro della luna.