Banda di spacciatori: il capo era ai domiciliari, ma gestiva un giro da 90mila euro al mese

Svelati oggi dai Carabinieri i dettagli dell'operazione "Campanacci", che ha condotto ieri all'arresto di sei persone. I reati contestati includono spaccio, ricettazione ed autoriciclaggio. Parte dei proventi venivano re-investiti per gestire un night.
Gli arrestati
Cronaca

Valeva 90mila Euro al mese l’attività di spaccio della banda sgominata dai Carabinieri all’alba di ieri, lunedì 22 febbraio. I sei arrestati, tutti albanesi e parenti fra loro, riuscivano ad approvvigionarsi di un’enormità come tre etti al mese di cocaina, che per la sua buona qualità riuscivano a tagliare anche fino a quattro volte. Un quantitativo che ha "sorpreso un po’" anche i militari stessi, per l’ampiezza del mercato che lascia intravedere, come confermato stamattina dal capitano Enzo Molinari, comandante della Compagnia di Saint-Vincent/Châtillon, durante la conferenza stampa in cui sono stati svelati i dettagli dell’operazione "Campanacci".

Il nome descrive l’origine stessa dell’attività investigativa che ha portato i militari a stroncare il traffico di stupefacente. Lo scorso ottobre, a Nus, in due furti diversi spariscono nove campanacci, per un valore di seimila Euro. I Carabinieri della stazione indagano e riescono a sorprendere due persone (Lado Latifaj di 39 anni e Zamir Bushaj di 30) prossime a rivendere la preziosa refurtiva. Per loro scatta la denuncia per ricettazione, ma i Carabinieri iniziano a tenerli d’occhio, con quelle definite come "modalità tradizionali" (cioé appostamenti e pedinamenti).

Ben presto, la realtà emerge nitida agli inquirenti: il gruppo (che comprende anche Laurent Bushaj di 28 anni, Xhontino Sinanaj di 19 e Gentian Bushaj di 34) ha in mano, almeno dal 2014, una consistente fetta del mercato della cocaina nella zona della media e bassa valle. Lo spaccio avviene sia in modo tradizionale, sia attraverso il night "La dolce vita" di Châtillon. La clientela è eterogenea e vasta, legata soprattutto al mondo della notte. Al riguardo, gli uomini dell’Arma precisano di non aver individuato né minori tra gli acquirenti, né scuole tra i luoghi interessati dalla rivendita.

Il dettaglio sorprendente però è che a tirare le fila della banda era Albert Bushaj, 36 anni e già agli arresti domiciliari per spaccio di droga (aveva patteggiato, nel maggio 2015, tre anni e sette mesi di pena). I Carabinieri lo definiscono come "un personaggio inserito": noto come "l’avvocato" per essere iscritto al foro di Roma come legale straniero, prima dei guai con la giustizia – come hanno riferito i militari – aveva collaborato anche con la Procura di Aosta, in qualità di traduttore.

Non poteva uscire di casa, ma gestiva il giro: lo stupefacente arrivava da fuori valle nella sua abitazione, veniva controllato, tagliato e poi ripartiva per essere nascosto, in prevalenza nel bosco. Non si fidavano, gli albanesi, della modalità di spaccio tradizionale, per il rischio cui li avrebbe esposti: il cliente pagava e gli veniva indicato dove andare a ritirare la cocaina. Nessuno scambio diretto tra due persone. Così facendo, lo spaccio proseguiva indisturbato e i componenti della banda non si sono insospettiti nemmeno quando i militari, in più occasioni apparentemente "casuali" tra dicembre e lunedì scorsi, hanno arrestato alcuni membri della banda, sequestrando (e quindi sottraendo dal loro mercato, mettendoli pure sotto pressione sul piano economico) cocaina per un controvalore di cinquecentomila euro.

Il night di Châtillon, una delle piazze principali dello spaccio, era proprietà di Albert, che però non poteva occuparsene, vista la sua condizione di recluso. Usava quindi Zamir Bushaj quale prestanome, che a sua volta si avvaleva di un italiano quale "factotum" (ritenuto il procacciatore di cocaina per i clienti del locale): il quarantanovenne Raffaele Chiosso. Per lui è scattato l’obbligo di dimora e di presentazione all’autorità giudiziaria. La stessa misura interessa anche Jani Bushai, 66 anni, padre di Albert, ritenuto il "palo" delle operazioni domestiche di taglio, pesatura e confezionamento delle dosi di stupefacente.

I reati contestati ai coinvolti nell’operazione sono, a vario titolo, lo spaccio di stupefacenti, la ricettazione dei campanacci e l’autoriciclaggio, visto che il denaro derivante dalla vendita della cocaina in parte veniva spedito in Albania e, per la rimanenza, finanziava il funzionamento de "La dolce vita". "L’indagine prosegue ora – ha spiegato il capitano Molinari – sia a livello patrimoniale, per accertare l’esatta destinazione dei proventi, sia relativamente alla provenienza di quantitativi del genere di sostanza. Inoltre, stiamo lavorando sul possibile ruolo di alcune figure femminili vicine ai componenti della banda".

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