“Solo i morti e gli stupidi non cambiano mai opinione”. La perla si saggezza dispensata nel XIX° secolo dal poeta James Russell Lowell è ben nota anche oggi e decisamente apprezzata in politica. In particolare, sembra essere diventato un vero e proprio motto al primo piano di Piazza Deffeyes dove le parole sono più leggere e le virate improvvise, a seconda della convenienza, rientrano ormai tra i punti all’ordine del giorno.
Sembra passato un secolo, infatti, dalla visita di Matteo Salvini ad Aosta, alla vigilia delle elezioni regionali. Invece era il 17 maggio 2018 e le dichiarazioni del leader del Carroccio – "Domenica avete da fare un bel po’ di pulizia, qualcuno per anni si è riempito la bocca della parola autonomia per farsi gli affari propri” – infiammarono la campagna elettorale, scatenando le ire di molti colleghi valdostani, subito pronti a scagliarsi contro l’invasore milanese.
Il giorno seguente, Pierluigi Marquis, durante il comizio di chiusura della Stella Alpina, dichiarava di voler “lavorare per la gente e non per noi stessi: siamo qui per costruire e non per distruggere, come propone qualche leader nazionale (Salvini, ndr) venuto qui a darci lezione su come fare le pulizie a casa nostra”.
La stessa sera, l’ex senatore Antonio Fosson (PNV), sosteneva che la “Lega ha un altro concetto di federalismo: come possiamo mettere il futuro nelle mani di chi non ci ama?”, per poi prendersela con Alpe. “Sono sempre i più bravi, devono sempre insegnare qualcosa agli altri, ma in sette mesi, con tre assessorati, cos’hanno fatto? Adesso dicono che la Sanità fa schifo, ma loro dov’erano?”.
Posizione netta anche tra le fila di Mouv’, sempre datata 17 maggio 2018, che per bocca del fondatore Luciano Caveri, stroncava di netto le mire leghiste. “Il nostro non è un nazionalismo cattivo e trovo il successo della Lega inspiegabile – disse Caveri – per me è impensabile che ci siano persone che vengono dalla tradizione autonomista che decidano di andare a braccetto con Casapound”.
Ma anche tra le fila di Alpe l’avanzata della Lega preoccupava. L’allora Presidente Alexis Vallet – che va detto, si è dimesso subito dopo il voto – sosteneva come l’autonomia fosse “un dono che ci è stato lasciato 70 anni fa”. Un dono che “chi è diretto da Roma e Milano” non può capire perché “non può sapere quali sono le esigenze di questa piccola terra di montagna. O abbiamo la forza di prendere in mano il nostro destino o non sarà glorioso”.
Dichiarazioni forti anche quelle di Emily Rini – 18 maggio 2018 – secondo la quale, riferendosi alle vicende giudiziarie, “non saranno questi inauditi attacchi mediatici a rompere la nostra alchimia”.
Un mese più tardi, il 26 giugno 2018, il Consiglio regionale della Valle d’Aosta si è insediato inaugurando la XV legislatura. Dopo svariati incontri e trattative serrate, infatti, si è giunti a un accordo, seppur risicato, con una maggioranza di soli 18 consiglieri, che ha portato all’elezione storica della prima donna – Nicoletta Spelgatti (Lega) alla Presidenza della Regione. In maggioranza, a sostenere proprio la Lega, ci sono Stella Alpina, PNV, Alpe (che curiosamente ottiene proprio l’assessorato alla Sanità) e Mouv’, oltre a Emily Rini. Verba volant, scripta manent.
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In democrazia chi vince le elezioni ha il diritto, e il dovere, di governare, al di là delle battutine di chi brucia perché ha perso.