Ehm niente. Neppure in spiaggia riesco a godermi solo il mare e il sole. In realtà, quest’ultima settimana l’ho passata al mare con due nipotini, un figlio adolescente rugbista e l’amico compagno di squadra. La cassiera del supermarket, quando ho fatto la spesa, mi ha salutato con uno sguardo misto tra l’ironia e la pietà. Insomma, proprio relax non lo è stato perché, si sa, i bambini in spiaggia son da presidiare e da gestire. Mah, a dire il vero, non lo so più se “si sa”; il mio pedagogico “occhio satanello” inevitabilmente è caduto ogni tanto su certe “scene da spiaggia” che mi hanno fatto riflettere.
Scena da spiaggia numero 1
Bambino di 4 anni urlante seduto sul lettino, e un paio di metri avanti a lui ci sono mamma, papà e sorella maggiore seduti sul bagnasciuga. “Secchio, voglio il mio secchioooo” urla il nanetto, con fare dispotico. La mamma prova a ignorarlo, con grande gioia di noi coinquilini della spiaggia. La sorella prova a invitarlo amorevolmente a venire a giocare con lei, ma invano. Il papà pare in un interspazio di pensieri tutti suoi.
La mamma cambia strategia, dicendogli con poca convinzione di venirselo a prendere. Lui urla per diversi minuti ancor più forte, finché lei sfinita prende il secchio, lo riempie di acqua e glielo porge ai piedi del lettino scocciata. Risultato: le nostre orecchie tornano a riposarsi, e il nanetto biondo di 4 anni sale di grado. Da piccolo despota sta imparando a fare il tiranno. Ha imparato che più urla, più ottiene. E il giorno dopo rifarà la stessa scena per ottenere un gelato, o un gioco.
Parafrasando Cesare Pavese, capisco che “educare stanca”, se però non ci si attrezza di tanta pazienza e fermezza si rischia di fare pasticci, a volte anche da eventi così banali. Come gestire quindi un bimbo urlante che vuole il “suo giochino”, anche nel rispetto dei vicini di spiaggia? (che non è che per la logica del “ehh, ma sono bambini” dobbiamo sempre tollerare tutto!). Ignorarlo non serve a nulla; anzi, di solito è peggio. Invece alzarsi, sedersi lì vicino e parlargli in modo calmo è meglio. In modo calmo, ma non in modo servile. Se un bambino urla in modo dispotico e io gli rispondo “sì amore, dimmi pure” c’è qualcosa che non va. C’è un’asimmetria linguistica disfunzionale. Se è vero che rispondere urlando ad un bimbo che urla è peggio, anche parlare con voce amorevole ad un bimbo prepotente non va bene. Bisogna essere assertivi, rigorosi, agendo con fermezza educativa, dicendo per esempio, con tono deciso: “Non mi piace sentirli urlare, non voglio che lo fai. Le tue urla danno fastidio agli altri. Ho capito che vuoi giocare col secchio; se lo chiedi gentilmente qualcuno ti può aiutare” oppure “Ho capito che hai bisogno del secchio, e forse sei stanco per alzarti a prenderlo da solo. Ma non voglio che tu lo chieda urlando. Non serve a nulla. Vuoi darmi la manina e andiamo a riempirlo insieme?”. La seconda risposta aggiunge alla fermezza un po’ di ascolto empatico. Entrambe sono competenze utili nella relazione coi bambini. Perché ignorare, dire “vieni a prendertelo tu” e poi alla fin fine cedere e portargli il secchio, significa abdicare da quel minimo di coerenza che in educazione serve. Ma non per fare i genitori “super-duri”. Semplicemente per aiutare il bambino a strutturare il suo pensiero con delle sequenze logiche di azioni prosociali.
Scena da spiaggia numero 2
Un gruppo di preadolescenti giocano a palla in riva al mare. E’ domenica, la spiaggia è affollata. La palla cade, con una malasorte incredibile, per diverse volte vicino ai lettini di due ‘signore lucertola’; quelle che possono stare per ore al sole senza esprimere neanche una goccia di sudore. La palla spruzza, o alza della sabbia fastidiosa. Le signore sbuffano, si lamentano. I ragazzi se la ridono. I genitori dei preadolescenti chiacchierano tra loro, ingenuamente ignari della cosa, finalmente liberati dalle incombenze della gestione dei figli piccoli. Eh sì, perché ormai i loro figli sono cresciuti, sono autonomi. Ecco, giusto per precisare, dall’autonomia all’indifferenza c’è una bella differenza.
Capisco che le ‘signore lucertola’ un po’ acidine a volte suscitino un misto di invidia-fastidio che verrebbe voglia di tirar loro una secchiata di acqua gelida, ma la spiaggia è un po’ anche loro. E’ un diritto di tutti. Che nessun adulto riprenda quei ragazzi non è solo poco rispettoso e maleducato verso le signore, ma è un problema per il percorso di crescita di quei ragazzi. Si sta insegnando loro che i diritti vengono prima dei doveri, che la libertà individuale non finisce dove inizia quella dell’altro, ma può espandersi a dismisura in un gioco muscolare di prepotenza. Ancora una volta, c’è un difetto di trasmissione di competenze relazionali.
Scena da spiaggia numero 3
Sono le ore 13, classica ora in cui un bambino di 3 anni al sole è meglio che non ci stia. Ma spesso andare a casa è più complicato che restare in spiaggia sotto l’ombrellone. Ma si sa, lo spazio è stretto, bisogna inventarsi di tutto per intrattenerli all’ombra. La scena da spiaggia oggi spesso ricorrente è: genitore sdraiato col cellulare in mano, bimbo di fianco col tablet in mano. Non per 10 minuti estemporanei, ma per un’ora o anche due! Per me 3 anni più un’ora di tablet è un’equazione disfunzionale. Lo so, mi odierete, vi sembrerò la “solita bacchettona”, ma a 3 anni sotto l’ombrellone bisogna armarsi di: libri con favole varie, carta e pennarelli, giochini da incastrare e costruire, lavagnetta magnetica, radiolina con musichetta da ascoltare (che magari favorisce pure una piccola nanna), ma parcheggiati lì col tablet no! E, se proprio deve essere, piuttosto guardate insieme qualche foto o fate insieme qualche gioco didattico. Il mio “insieme” ripetuto due volte non è un refuso. Educare è stare in una relazione, con il bello e il cattivo tempo.
“Educare stanca” mannaggia, lo so. Richiede tempo, energie, creatività, fermezza, coerenza, pazienza…tanta pazienza. Al mare, se avete bimbi piccoli, cento volte di più. Verrà il tempo in cui tornerete a leggere un lungo libro in spiaggia, garantisco. E lì rimpiangerete quando eravate chini a fare castelli di sabbia e a leggere favole sotto l’ombellone.
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Bellissima idea!!. Sono di Aosta, ma adesso lavoro all’estero. In valle, ho fatto per diversi anni il Bartender, dopo di che ho aperto una piccola scuola dove si promuoveva il bere consapevole. Sig.ra Coppo, le consiglio di contattare le associacione di categoria. A.I.B.E.S o A.B.I … sono sicuro le darebbero volentieri un mano a divulgare questo bellissimo progetto
Mamma mia sig.ra Coppo, se non ci fosse lei la categoria genitori sarebbe già estinta.