Due anni di reclusione e 200 euro di multa sono la condanna inflitta dal Tribunale di Aosta, in composizione collegiale (presidente Eugenio Gramola, giudici a latere Maurizio D’Abrusco e Marco Tornatore), al brigadiere della Guardia di finanza Mauro Minghetti. L’uomo, 54 anni, all’epoca dei fatti in servizio in Valle d’Aosta e successivamente trasferito in Lombardia, era accusato di accesso abusivo ad un sistema informatico protetto e di omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale.
Da una terza imputazione, la rivelazione di segreti d’ufficio, l’imputato è stato assolto “perché il fatto non sussiste”. Il pm Luca Ceccanti contestava a Minghetti oltre 1800 accessi indebiti all’anagrafe tributaria e a una banca dati automobilistica, per un totale di “6000 click”, avvenuti “forse per una morbosa curiosità”, ma di certo “senza giustificazione”. Una quarantina di questi avevano riguardato colleghi e superiori del militare, tre dei quali si sono costituiti parte civile nel processo conclusosi ieri, mercoledì 3 ottobre (la sentenza riconosce loro 500 euro di risarcimento ognuno).
Dalle indagini aveva preso forma una vicenda che il pm non ha esitato a definire “avvilente, per l’esito, per quello che è successo, per l’immagine della Guardia di finanza”. È emerso infatti che l’imputato avesse avuto dissapori con dei vicini di casa che portavano la sua stessa uniforme e, in seguito, che fosse l’autore di un esposto anonimo alla Procura militare di Verona riguardo i “viaggi” a Torino di un superiore ed altri colleghi, motivati con ragioni di servizio, ma in realtà finalizzati a sostenere degli esami universitari (innescando un processo chiusosi con una sentenza di primo grado di condanna).
Essendo un finanziere, tuttavia, il codice penale lo obbligava – come ha sottolineato il Pubblico ministero in aula – “a firmarlo, mettendoci la faccia”. “La giustificazione è stata ‘sono stato in qualche modo obbligato a fare l’esposto, tutti se ne fregavano’. – ha tuonato il sostituto Ceccanti – Non merita spendere parole sull’ingiustificatezza della tesi”. Il pm ha quindi chiesto 3 anni di condanna, con l’affermazione di colpevolezza per tutti i reati contestati.
Nella sua arringa, l’avvocato Alberto Gandini del foro di Torino, ha puntato sulla difficoltà di “stabilire quando una persona con le credenziali abbia diritto ad accedere, o no. Non è un ragazzino hacker nella sua cameretta. È un brigadiere della Guardia di finanza, che di lavoro fa quello”. Quanto alla rivelazione dei segreti d’ufficio, il legale ha sottolineato che il suo cliente “ha fatto un esposto, con un processo finito in condanna”, non ha mandato informazioni “a un telegiornale”, ma “alla Procura militare”.
Sulla questione dell’esposto, il difensore si è infine appellato al collegio chiedendo di “immaginare cosa significhi vivere un ambiente di lavoro in cui, giorno e notte, si venga additati come colui che denuncia il vicino di casa. Non è facile fare una denuncia all’esterno, quando si è provato a farla all’interno. Ha avuto paura, per timore di ripercussioni lavorative e personali”. Una tesi non sposata dai giudici, che, nel sentenziare, hanno anche interdetto Minghetti dai pubblici uffici per due anni.