Oltre alle tredici misure di custodia cautelare accolte dal Gip del Tribunale di Reggio Calabria Valentina Fabiani, la Dda diretta da Giovanni Bombardieri aveva chiesto il carcere preventivo anche per altre persone. La circostanza emerge dall’ordinanza eseguita dai Carabinieri ieri, mercoledì 17 luglio, tra Calabria, Valle d’Aosta ed Emilia. Per quattro indagati dell’operazione “Altanum” per cui non si sono aperte le porte del carcere, l’accusa tratteggia un ulteriore scenario legato alla Valle. Uno scenario costruito, anche in questo caso, sulla “rivalutazione” di precedenti indagini del Gruppo Aosta dell’Arma riguardanti gli stupefacenti.
Secondo gli inquirenti reggini, Maurizio Napoli (47 anni, di Taurianova), Michele Fonte (56, San Giorgio Morgeto), Veronica Fonte (32, Aosta) e Gianluca Cammareri (30, Cinquefondi) sarebbero stati i protagonisti, nel 2013, di un’associazione finalizzata al traffico illecito di droga, in particolare Marijuana. Nella tesi dei Carabinieri, l’“erba” veniva reperita a San Giorgio Morgeto da Napoli, organizzatore e capo del sodalizio, che si occupava pure di farla arrivare ad Aosta (attraverso i camion dei corrieri che mensilmente trasportano merci tra le regioni del sud e quelle del nord), dove veniva smerciata dagli altri tre indagati.
Un’associazione a carattere assolutamente familiare: Michele Fonte è padre di Veronica, sposa di Cammareri. Non solo: è cognato, per essere il marito di sua sorella, di Napoli. Nella lettura dell’Arma, quest’ultimo risulta “essere soggetto vicino ai Facchineri e chiamato in causa in occasione della vicenda dell’estorsione ai danni” del titolare della “Edilsud” (al centro dell’indagine “Tempus Venit”). Il suo ruolo è stato messo a fuoco, e contestato in “Altanum”, sulla base di uno scambio investigativo tra inquirenti, innescato dagli esiti dell’indagine “Sapori di Calabria” dei Carabinieri del Reparto Operativo di Aosta, culminata nell’arresto degli altri tre indagati odierni, il 17 novembre 2013.
Quel giorno, i militari trovarono i due Fonte e Cammareri in possesso di 1,6 chilogrammi di Marijuana. Nel processo che inizia al Tribunale di Aosta, per detenzione ai fini di spaccio, gli imputati arrivano a condanne definitive. Gli atti finiscono in Calabria e la Compagnia di Taurianova dell’Arma, confrontandosi con i colleghi aostani, si concentra sui viaggi verso la Valle, disegnando il capo mancante della vicenda. In particolare, traspare che, in prossimità delle partenze del camion, Napoli intensificava i contatti con un pluripregiudicato, già sorvegliato speciale, con precedenti anche “in materia di armi e stupefacenti”.
Alle telefonate seguiva normalmente un incontro, dopo il quale il cellulare dell’indagato “scompariva” dalla Calabria, per poi ridare segni di vita in Valle d’Aosta e “riapparire” nel reggino (al rientro a casa). Accade tra fine agosto e inizio settembre, ma la stessa dinamica (telefonate, incontro e cellulare vittima di “evanescenze” geografiche) si ripete a metà settembre, per un nuovo viaggio. Con un elemento in più: prima di partire, la nipote manda un sms a Napoli in cui chiede “di non superare i 200 euro di bollo”. Gli inquirenti lo interpretano come un ordinativo di droga, perché una tassa non ha importo a discrezione del contribuente.
A quel punto, in occasione del “viaggio” del camion di ottobre, i militari entrano in azione. Prima che entri in autostrada a Rosarno, fermano il mezzo, cercando pacchi per le famiglie Fonte e Cammareri. Non ne trovano. Però, una volta ad Aosta, osservano uno dei sospettati che si reca a ritirare degli involucri. Ne prendono atto, deducendo che quelle “merci” non vengano registrate sui documenti di trasporto, e decidono di aspettare il trasferimento successivo.
In novembre, a poche ore dalla partenza, Napoli e il pregiudicato si incontrano ancora. Il 15 il camion arriva nel capoluogo regionale (nell’ex area del mercato di via Volontari del Sangue), ma né Cammareri, né i Fonte si presentano al ritiro. Il pomeriggio del giorno dopo, Michele e Gianluca vanno a Torino: in un servizio di osservazione vengono visti tornare su due diverse auto e nascondere, raggiunti da Veronica, una confezione di media grandezza nei pressi della rampa d’accesso al loro garage, alla periferia di Aosta.
Il giorno dopo il Nucleo Investigativo entra in azione: attua perquisizioni personali, locali e veicolari, ritrovando l’abbondante quantitativo di “Maria” e arrestando il braccio “valdostano” del sodalizio. Per gli inquirenti reggini, “facevano arrivare lo stupefacente nel capoluogo piemontese perché chiaramente a conoscenza che”, in ottobre, “i Carabinieri avevano perquisito la merce destinata alla sola città di Aosta”. Trovano anche, nella borsa di Veronica, una ricevuta di versamento di 600 euro sulla carta Postepay di Napoli.
La madre della ragazza si affretta a telefonare al fratello, dopo i fermi, cercando di “ricordargli” i motivi di quel trasferimento di denaro, non giustificato dalla nipote in caserma (in prima battuta, evoca il pagamento delle bomboniere per il matrimonio della nipote), ma ogni accertamento condotto successivamente smentirà quelle ipotesi. L’Arma appura anzi, alle Poste Italiane, come “in soli otto mesi” Napoli “percepiva denaro per un ammontare di circa 6mila euro dai Fonte/Camarreri”. I Carabinieri non hanno dubbi che si trattasse dei pagamenti dello stupefacente, approvvigionato dall’uomo attraverso il pregiudicato incontrato poco prima di ogni viaggio.
Il Gip Fabiani non ha accolto, tuttavia, la richiesta di incarcerare i quattro, perché “gli elementi ripercorsi ed esaminati dal pm” non appaiono “di quella gravità e precisione tale da giustificare oggi l’applicazione di una misura cautelare”, in particolare quella “di massimo rigore”. Per il giudice i dati investigativi conducono a ritenere che Napoli “fosse certamente dedito a traffici illeciti” inerenti “anche sostanze stupefacenti”, ma “non consentono di concludere che il predetto fosse stabilmente inserito in un sodalizio criminoso”. I quattro restano quindi indagati in libertà e la Dda si giocherà la partita nelle prossime fasi del procedimento.