Doveva essere “uno strumento in più contro l’epidemia” da Covid-19, ma per certificare che qualcosa non va con la app “Immuni”, creata dal Ministero della salute per “avvertire gli utenti che hanno avuto un’esposizione a rischio, anche se sono asintomatici” (sfruttando la tecnologia Bluetooth degli smartphone), non serve nemmeno arrivare ai tanti valdostani che raccontano di non aver mai ricevuto notifiche (paradossale, nella regione dal rapporto tra contagiati e residenti più alto d’Italia e con l’indice Rt superiore a 2). Bastano, infatti, gli stessi numeri in bella mostra sul sito su cui, dallo scorso 15 giugno, gli italiani sono stati invitati a scaricare lo strumento di “contact tracing” voluto dal governo.
Segnalati meno dell’1% dei positivi
Ad oggi, a livello nazionale, 1.530 positivi al nuovo Coronavirus hanno caricato il codice che ha innescato 36.231 segnalazioni a coloro cui sono stati esposti nei giorni precedenti. In sostanza, appena lo 0.59% dei 255.090 infetti attuali in Italia: una base esageratamente esigua per una “copertura” incisiva dei potenziali contatti dei contagiati. Il dato scomposto su base regionale (fornito dal Dipartimento per la trasformazione digitale) evidenzia che, allo scorso 30 settembre, “Immuni” avesse contribuito, in Valle d’Aosta, ad individuare un solo caso di Covid-19. Considerando che, al 28 di quello stesso mese, i positivi nella regione erano 75, significa l’1.3% del contagio in quel momento.
Il download snobbato
Poco, troppo poco per incidere sul contenimento dell’epidemia. Di certo, all’insuccesso globale contribuisce lo scarso scaricamento dell’applicazione (disponibile gratuitamente per iOS e Android): sinora l’hanno installata 9.367.353 italiani. Nella nostra regione è sugli smartphone di 12.106 valdostani, l’11% dei 110.498 abitanti con più di 14 anni. Un dato che porta la Valle nell’ultima parte della classifica per la percentuale di download sul numero di residenti (disponibile sul sito di “Immuni”). Peggio solo Basilicata (10.9%), Puglia (10.5%), Molise (10.4%), Campania (8.8%), Calabria (8.2%) e Sicilia (7.8%). Per la cronaca, la “medaglia d’oro” Abruzzo è tale con il 15.9%, percentuale comunque non proprio bulgara (e appena al di sopra della media nazionale del 12.5%).
La diffidenza iniziale della Regione
Dire se tali dati riflettano scarso senso civico, irresponsabilità, o quali altri motivi è difficile. Facilmente, la popolarità della app da queste parti non è stata aiutata nemmeno dalla diffidenza iniziale mostrata nei suoi confronti delle istituzioni regionali. La Valle d’Aosta non aveva infatti dato la disponibilità per testare la tecnologia di “contact tracing” con “Bluetooth” nella fase sperimentale (a inizio giugno, condotta poi nelle “regioni pilota” Puglia, Abruzzo, Marche e Liguria). L’allora presidente della Regione Renzo Testolin lo aveva ritenuto “sostanzialmente inutile” in ragione dei pochi casi sul territorio in quel momento, mentre il coordinatore sanitario dell’emergenza Luca Montagnani aveva espresso perplessità rispetto alla volontarietà su cui era stato concepito il tracciamento via smartphone.
Una procedura farraginosa
Più di tutto, però, le principali perplessità sorgono leggendo la circolare esplicativa diffusa a metà giugno sugli adempimenti degli organismi sanitari per consentire il funzionamento di “Immuni”, soprattutto in raffronto all’attuale situazione pandemica. “Quando un utente risulta Sars-CoV-2 positivo – è scritto – il medico del Dipartimento di prevenzione dell’azienda Usl, che lo contatta per l’indagine epidemiologica, chiede se ha scaricato l’app e lo invita a selezionare sul proprio smartphone l’opzione per generare un codice numerico (codice OTP)”. Ora, se qualcosa è chiaro nell’ultimo periodo in Valle è che si viaggia oltre 2.500 tamponi oro-faringei in attesa di essere effettuati (e quindi l’accertamento della positività richiede tempo) e che, per stessa ammissione delle autorità (non più tardi di due giorni fa), la macchina dei tracciamenti è saltata.
Arrivare all’ottenimento del codice, per un valdostano, appare quindi tutt’altro che scontato. Ammettiamo, però, che ci riesca. “Il codice, comunicato al medico, – si legge ancora – verrà inserito all’interno di un’interfaccia gestionale dedicata, accessibile per il tramite del sistema Tessera Sanitaria. A quel punto l’utente sarà abilitato a notificare a tutte le persone che il sistema individua come ‘contatti stretti’ il rischio a cui sono stati esposti e le indicazioni da seguire”. Il messaggio che riceveranno “invita a contattare il medico di medicina generale o il pediatra di libera scelta”. Mettendosi nei panni dell’ipotetico contatto, la strada appare altrettanto in salita. Reperire il medico curante non è affatto banale in questi giorni (la territorialità è l’altro fronte sanitario in forte sofferenza) e, qualora ci si arrivi, la procedura sarà tutt’altro che esaurita.
Il dottore, è ancora la circolare a parlare, “una volta valutato il rischio e lo stato di salute della persona, la segnaleranno al Dipartimento di prevenzione compilando e inviando un modulo precostituito alla casella di posta” elettronica dell’Unità sanitaria locale, “per il completamento dell’indagine epidemiologica e l’eventuale isolamento domiciliare (senza ordinanza sindacale)”. Se ritenuto opportuno, i medici di base “potranno richiedere il tampone diagnostico direttamente alla Centrale Unica del Soccorso”. Qualora positiva, la “persona, rilevata dall’apposita piattaforma Covid, sarà presa in carico dagli operatori del Dipartimento di Prevenzione per la sorveglianza sanitaria e il monitoraggio attivo; in tal caso sarà emessa ordinanza sindacale” di isolamento.
Lo Stato corre ai ripari
Con tutto il rispetto per le condizioni in cui gli operatori sanitari si trovano ad affrontare la seconda ondata del virus e per i loro sforzi, la sequenza ricorda davvero troppo quella di “Asterix e le 12 fatiche” in cui i due eroi galli vengono a contatto con la pubblica amministrazione, rischiando di affogare in un’odissea di burocrazia. Per quanto il problema non fosse invisibile a priori (e sia noto che il virus viaggia più veloce delle e-mail), lo Stato se n’è accorto e ha provato a metterci una pezza solo con il Dpcm del 18 ottobre scorso. Il decreto sottoscritto dal presidente Giuseppe Conte stabilisce che “al fine di rendere più efficace il contact tracing attraverso l’utilizzo dell’app Immuni”, è fatto obbligo al Dipartimento di prevenzione dell’azienda sanitaria “caricare il codice chiave in presenza di un caso di positività”.
Una previsione che snellisce sicuramente la procedura (evitando all’utente di dover affrontare vari passaggi personalmente), ma non prescinde dall’accertamento della positività con tampone, fronte sul quale la Valle è in difficoltà. Un altro rimedio in fatto di tracciamento arriva dal bando lanciato, da poco, dalla Protezione civile nazionale, per “garantire l’operatività del sistema di ricerca e gestione di contatti dei casi di Covid”. L’obiettivo è reperire su base regionale 1500 operatori sanitari e 500 addetti ad attività amministrativa, che “coadiuvano i professionisti impiegati nel contact tracing”. Per la Valle d’Aosta, considerato che che la ripartizione è stata stabilita sulla base della popolazione, sono previste tre figure nell’ambito sanitario. Se ne vedrà l’effetto. Intanto, “Immuni” resta la cronaca di un insuccesso.