Quando un atleta ha “l’obiettivo puntato sulle Olimpiadi”, il significato è abbastanza evidente: l’appuntamento a cinque cerchi rappresenta per chiunque l’apice della carriera. Se quella stessa frase è detta da una persona che per lavoro sta dietro una cinepresa, però, solo in pochi possono farlo in maniera letterale. E Pietro Taldo è uno di questi.
Il giornalista telecineoperatore della Rai è stato a Tokyo per tre settimane con l’obiettivo (della sua telecamera) puntato sulle Olimpiadi dal mattino presto alla sera tardi, occupandosi delle riprese per la televisione di Stato. Taldo non è nuovo ai grandi appuntamenti sportivi, dopo i Giochi Invernali di Salt Lake City nel 2002 (“ma ero un po’ uscito dal giro dopo la nascita di mia figlia, si stava via troppi giorni”) e, da diversi anni, con la Coppa del Mondo di sci alpino. Quella giapponese, però, è stata un’esperienza nuova: “Tosta, anche fisicamente, perché ti muovevi con telecamera e cavalletto a 35 gradi e con il 90% di umidità”, racconta.
La giornata di Pietro iniziava alle 7.30 del mattino con la trasmissione “Go Tokyo” in diretta dall’albergo e finiva alle undici di sera. In mezzo, chilometri – a piedi (“in tre settimane ho camminato 144 chilometri”) e con i mezzi di trasporto – e tante discipline diverse. “In genere, soprattutto all’inizio, facevo le riprese per i servizi del TG”, spiega Taldo. “Un servizio che mi è piaciuto particolarmente fare è stato quello alla base dove l’Italia si allenava per la vela, ed abbiamo pure vinto una medaglia incredibile. Durante le gare avevamo una mixed zone dove passavano gli atleti per le interviste, 90 secondi al massimo, sia prima che dopo. Le riprese delle competizioni erano trasmesse in broadcast internazionale, io facevo delle immagini dedicate in diretta, ad esempio il riscaldamento o gli allenatori”.
A Tokyo erano in pochi a fare riprese per la Rai, quattro TCO e due operatori, e questo per il valdostano voleva dire un continuo andare avanti e indietro: “Magari al mattino facevi il beach volley, poi tornavi e andavi a fare le riprese per il tiro al piattello, e poi magari la sera avevi la ginnastica. Una cosa curiosa è successa con la prima medaglia italiana nel taekwondo: eravamo alle qualificazioni dell’atletica, ci hanno chiamati all’ultimo perché Dell’Aquila stava andando sul podio e siamo partiti al volo, solo che ci voleva un’ora e mezza di taxi. Siamo arrivati che era già tutto finito, ma dopo la conferenza stampa, grazie al Presidente del CONI Malagò, siamo riusciti ad averlo per l’intervista, facendo uno strappo alla regola”.
Gli ultimi giorni sono stati un po’ più “statici” (ma si fa per dire), con Pietro Taldo fisso a seguire il ciclismo su pista. Che però distava quattro ore di auto dall’albergo. “Quello dell’inseguimento è stato l’oro più bello, secondo me. Non conoscevo molto il ciclismo su pista, eravamo indietro di 8 decimi nell’ultimo chilometro ed abbiamo fatto una rimonta entusiasmante. Ero in mezzo ai danesi ma ho esultato parecchio, poi ho cercato di riprendere l’aplomb. Quella sera abbiamo fatto uno strappo alla regola e siamo riusciti a mangiare in una pizzeria napoletana”.
Già, perché i ristoranti chiudevano alle 20 e Pietro e gli altri, rientrando alle 23, dovevano mangiare in camera quello che riuscivano ad acquistare al supermercato. Sempre seguendo regole rigidissime, perché la bolla sanitaria in cui hanno dovuto vivere non lasciava scampo. “All’ingresso dell’albergo c’erano due guardie che prendevano le tempistiche: potevi uscire al massimo per quindici minuti, altrimenti ti avrebbero ritirato il pass. Ogni giorno dovevamo caricare i nostri parametri vitali sull’app OCHA, così come gli estremi dei tamponi – un salivare PCR ogni tre giorni ed un altro tampone ogni quattro. Tramite il GPS controllavano anche che non uscissimo dai percorsi dedicati”. Una “quarantena attiva” che prevedeva anche navette apposite o taxi schermati con il nylon e, in caso di positività, lo stop a tutto il team: è successo in aereo ad un giornalista italiano, salito negativo e risultato positivo all’arrivo a Tokyo, con conseguente quarantena per le file davanti e dietro di lui, tra cui alcune atlete del nuoto sincronizzato che hanno potuto partecipare solo dopo la negatività ad un tampone effettuato sei ore prima della gara.
“Non ho avuto un giorno libero, né contatti con i giapponesi se non con qualche collega, ma non è vero che non volevano i giochi, vedevo code di gente che cercava autografi e fotografie”, conclude Pietro Taldo. “È stata un’esperienza bellissima, soprattutto perché eri a contatto con gli atleti ed erano sempre felici di farsi intervistare, in particolare se avevano vinto una medaglia. Peccato per questa bolla, spero che per le Olimpiadi invernali di Pechino sia meglio. Non ho potuto visitare Tokyo, e mi è spiaciuto perché ci ero già stato tre anni fa in vacanza ed è davvero una città stupenda”.