Lungo il cammino verso l’altare non c’è più solo il Conseil Fédéral. Il nuovo giro di consultazioni, debuttato ieri e entrato nel vivo oggi con gli incontri fra gli autonomisti e i leghisti prima, e Pour l’Autonomie poi, ha messo in luce come il percorso sia ancora tutto in salita.
Per cercare di superare il primo ostacolo al matrimonio fra gli autonomisti e i leghisti, rappresentato dalla base unionista, gli undici sono nuovamente tornati alla carica con il Partito democratico perorando la soluzione delle larghe intese. L’hanno fatto venerdì scorso in un incontro informale fra il Presidente della Regione, il capogruppo di Alliance Valdôtaine Albert Chatrian, una parte del gruppo consiliare e il segretario dei dem Luca Tonino. Ci hanno riprovato prima contattando i vertici romani del Partito democratico e ieri con la commissione politica del Pd locale. La risposta ricevuta è stata sempre la stessa: la direzione del Pd si è già espressa per un allargamento al campo autonomista. Tradotto: sì a Pour l’Autonomie, no alla Lega.
Perché tanta insistenza, quando la soluzione larghe intese era stata bocciata anche dal Carroccio?
La ragione è da ricercare probabilmente nella contrarierà della base unionista ad una virata a destra del governo Lavevaz.
Proprio il Presidente della Regione, due anni fa nel congresso Uv di Gressan, da presidente del Mouvement aveva messo nero su bianco nella mozione, poi approvata, il “no ad accordi con forze populiste e nazionaliste”. Quel “mai con la Lega”, poche ore dopo l’esito del voto delle regionali 2020, portò i 14 autonomisti a bussare alla porta di Progetto Civico Progressista e qualche settimana dopo a far sedere lo stesso Lavevaz sulla poltrona di governatore di una coalizione di centro sinistra.
Difficile ora spiegare e far digerire agli unionisti la scelta di voler abbandonare il Pd, con cui si governa anche al Comune di Aosta, per risposarsi con la Lega Salvini Premier. Ancora più difficile da comprendere come Lavevaz, il più forte oppositore ad un accordo con i vincitori della tornata elettorale del 2020, possa ora guidare una coalizione di centro destra.
Da qui il tentativo di tenere in piedi un triangolo, allungando i tempi di un accordo, fortemente voluto dagli eletti. Chissà se il Pd, nel rifiutare l’offerta, ha citato Renato Zero (“Mi aspettavo lo sai. Un rapporto un po’ più normale”).
Il secondo e più importante ostacolo è invece rappresentato dalle aspirazioni degli uni e degli altri. Tradotto: la spartizione delle poltrone. La Lega fin da subito ha rinunciato alla presidenza della Regione, chiedendo però pari dignità. Il disegno era di aumentare i posti in Giunta regionale per arrivare a un fifty -fifty, cinque posti a testa. Da quanto si apprende il Carroccio sarebbe interessato alla presidenza del Consiglio Valle per Paolo Sammaritani, alle Finanze, con l’aggiunta delle partecipate, per Stefano Aggravi, alle politiche sociali per Andrea Manfrin e alla Cultura e Turismo per Nicoletta Spelgatti. Rimane da capire l’altro assessorato da consegnare a Luca Distort. Desiderata che però si andrebbero a scontrare con le ambizioni degli autonomisti.
Si vedrà nei prossimi giorni se gli eletti riusciranno a fare cambiare idea al “popolo unionista” con la narrazione di una stabilità di governo che solo il Carroccio è in grado di garantire e se riusciranno a cedere alle richieste leghiste. Altrimenti la strada non potrà che essere quella di una difficile sopravvivenza a 18, questa volta senza sconti a Lavevaz – chissà se fin dall’inizio il suo attendismo non mirava a rimanere a 18? – da parte della Lega, ma anche dai suoi stessi compagni.
Una risposta
Che tristezza.
Meglio chiudere la baracca e tornare al voto.