L’Usl ha presentato i risultati dell’indagine sul benessere lavorativo aziendale

Dall'indagine, cui ha partecipato il 44% degli operatori sanitari, emergono dati positivi su chiarezza di ruolo dei dipendenti, autonomia lavorativa e responsabilità. Più critici altri fattori, come i carichi di lavoro, mentre si chiede più l'inclusione nei processi decisionali.
Immagine archivio - La sede Usl di via Guido Rey
Sanità

L’Azienda Usl ha presentato oggi – venerdì 19 aprile – i risultati dell’indagine sul benessere ed il clima lavorativo lanciata qualche mese fa dalla Direzione strategica e dal Cug, il Comitato unico di garanzia aziendale che ha visto coinvolti 1.287 operatori, il 44 per cento della popolazione aziendale.

“Perché abbiamo voluto questo studio? Per una ragione etica, e una organizzativa – ha spiegato Massimo Uberti, direttore generale Usl –. Per chi si occupa di servizi alla persona benessere degli operatori è strettamente legata alla qualità delle prestazioni dei servizi erogati. Conoscere il clima in azienda è una necessità”.

La terza ragione – prosegue – “è contingente: una delle difficoltà maggiori in Italia, e la maggiore in assoluto in Valle d’Aosta, è quella di reperire personale sanitario. Il che vuol dire riuscire ad attrarlo e a mantenerlo. Abbiamo realizzato un progetto sull’attrattivi e la fidelizzazione del personale, ma anche e soprattutto lavorato sul clima organizzativo. Capire quali siano i valori che influenzano positivamente o negativamente il lavoro è un percorso che comincia ora. Da qui dobbiamo mettere in atto delle azioni per capire le criticità e lavorarci”.

Linea ribadita dalla dottoressa Anna Castiglion, presidente del Cug e direttrice della struttura Controllo interno dell’Usl: “È stata un’occasione per tutti e tutte le componenti del Comitato, ma in particolare per il sottogruppo ‘benessere lavorativo’, per mettersi in gioco e costruire uno strumento che potesse coinvolgere il più possibile i colleghi e le colleghe. Il benessere organizzativo e la promozione delle pari opportunità sono obiettivi importanti, e per raggiungerli serve la collaborazione di tutta l’organizzazione”.

L’indagine

Da sx: Massimo Uberti, Anna Castiglion e Alessia Rossi
Da sx: Massimo Uberti, Anna Castiglion e Alessia Rossi

A sintetizzare i risultati è la professoressa Alessia Rossi, docente di Psicologia delle organizzazioni all’Università di Genova: “I datti raccolti ci dicono, tra le altre cose, che il personale riconosce chiarezza di ruolo e autonomia lavorativa, anche se vive pienamente le responsabilità che mettono in gioco la propria dimensione emotiva. Un dato, questo, superiore al punteggio medio che ci dice che questo impegno è percepito e c’è molta consapevolezza”.

Ma l’indagine dice anche altro, ovvero che “l’esigenza di trovare un migliore equilibrio tra vita privata e lavoro è un obiettivo di miglioramento sul quale investire” ha aggiunto Rossi. Ma non solo: “In tempi di ‘grandi dimissioni’ emerge che l’intenzione di cambiare lavoro è minoritaria, a conferma di un’organizzazione dove il desiderio di miglioramento prevale sulla sfiducia”.

Proprio sulla questione lavoro una domanda si pone: chi vive appieno la propria responsabilità, ha chiara la propria autonomia lavorativa, perché dovrebbe cambiare lavoro? O meglio, quanto attrae – de facto – la sanità privata?

Risposte che arriveranno scorporando i dati – l’indagine è, e resta, anonima –, ma un primo pensiero lo fa il direttore Uberti: “Pur non avendo dato storico, il mercato del lavoro nella sanità è cambiato molto – ha detto –. Qualsiasi infermiere e medico sa che ha la possibilità di scegliere. Non abbiamo un dato, ma sono convinto che sia in incremento del Crea che dicono che il 60 per cento degli operatori sanitari vorrebbe cambiare lavoro. Questo dà da pensare. Che qualcuno prenda in considerazione un altro lavoro è fisiologico. Noi siamo al 45 per cento. Un dato migliore rispetto della media, ma comunque molto elevato e sul quale lavorare”.

Tra le aree sulle quali intervenire maggiormente, stando all’indagine, che era composta da 22 domande, ci sono quelle che riguardano le opportunità di formazione/informazione, i carichi di lavoro, l’impegno e la gestione delle emozioni sul lavoro, l’eccesso di richieste da parte degli utenti e – dato più basso in assoluto – l’inclusione degli operatori nel processo decisionale.

Qualche sorpresa? “Qualcuna sì, qualcuna no – ha concluso il direttore generale –. Non mi aspettavo che la chiarezza del ruolo fosse il dato migliore. E pensavo di trovare risposte più pungenti per quanto riguarda il rapporto con il capo diretto”.

L'indagine Usl sul benessere lavorativo

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