Nel 1941 nasce MATRA, acronimo di Mécanique Aviation TRAction, e, diremmo, inevitabilmente, la sua attività è funzionale alla materia militare, dati i tempi. Termina la Seconda Guerra Mondiale e ad inizio anni sessanta, precisamente nel 1962, l’azienda si dedica ad altri campi, segnatamente aeronautica e automobile.
Marcel Chassagny, fondatore della Casa, stringe un accordo con René Bonnet, che aveva dato vita a sua volta alla “DB” con Charles Deutch. E lanciano sul mercato la Matra “Djet”, presentata al Salone di Parigi appunto nel 1962.
Il motore era centrale, novità per allora assoluta, 1.1 litri per 70 cavalli di potenza, e veniva mutuato dalla Renault “8”. Il design era perfettamente in linea con lo stile dell’epoca: basti pensare alle somiglianze con un’illustre coetanea, la Alpine A110, regina dei rally di lì a pochi anni. La “Djet” appariva sobria ma accattivante, grazie ad una forma filante che premiava il cofano spiovente, i fari grandi incastonati verso il basso, i due rostri a sostituire il tradizionale paraurti. Al posteriore, la coda tronca a rientrare e, ancora, i due rostri.
Novità molto significativa la carrozzeria in vetroresina, soluzione resa possibile dall’ingresso nel gruppo MATRA di GAP (Générale Application Plastique). Ben presto, la seconda serie finì sotto le cure del grande Amedeo Gordini, emiliano di Bazzano che fece fortuna in Francia. Gordini elaborò un propulsore 1.0 litri ma con potenza che si elevava a 82 cavalli.
Per la sesta declinazione, Gordini portò la cilindrata a 1.255 cc. con 105 cavalli. La “Djet” nasceva anche con una vocazione corsaiola. Che trovò la prima vittoria già nel 1962 al “Rallye de l’Armagnac”. Gérard Lareau la portò ad un filotto di successi: in rapida successione, Chamrousse, Cȏte d’Urcy, Monthlery. L’anno successivo, la conquista della “Targa Florio” tra i prototipi.
Fu poi la volta della MATRA “M530”, prodotta a cavallo degli anni sessanta e settanta. L’azienda voleva una vettura meno “racing” della precedente “Djet”, in modo da allargare il bacino clienti. Quindi, spazio all’abitabilità posteriore, raggiunta un po’ a fatica implementando il passo. Il look non venne particolarmente apprezzato: in effetti, la “M530” appariva poco proporzionata, tuttavia alcune soluzioni quali il tettuccio asportabile e soprattutto il timido gioco di concavità, anticiparono i tempi.
Ma le soddisfazioni maggiori MATRA le ricavò dalle corse, segnatamente di categoria Sport Prototipo. La sua terra di elezione, la “24 Ore di Le Mans”, obbiettivo agognato, che si aggiudicò per tre volte di seguito, dal 1972 al 1974, con la “MATRA Simca MS670”.
Erede della “MS660”, era spinta da un motore dodici cilindri da 500 cavalli con carrozzeria, ça va sans dire, in vetroresina. La “MS670” venne ulteriormente sviluppata nelle versioni “B” e “C”, quest’ultima alleggerita a 650 chilogrammi di peso.
La vittoria a Le Mans arrivò nel 1972, alla guida Henri Pescarolo – Graham Hill, l’unica gara sulla quale si concentrò la Casa, intenzionata a colmare un deficit di vittorie francesi che resisteva dal 1950. L’anno successivo, l’impegno in tutto il Campionato Mondiale Sport Prototipi con l’alloro iridato e l’affermazione rocambolesca a Le Mans dopo una gara ad eliminazione che premiò il leggendario equipaggio Henri Pescarolo – Gérard Larrousse. Che si ripeterono nel 1974, per l’ultimo Hurrah.