Cambiamenti climatici e sabbia dal Sahara: un altro anno difficile per i ghiacciai valdostani

Nel 2024 continuano ad arretrare ma più lentamente rispetto agli altri anni. Oltre all'innalzamento delle temperature si ipotizza che abbiano influito anche i numerosi episodi di sabbia proveniente dal deserto.
Il ghiacciaio del Rutor
Ambiente

Dati migliori della media storica dell’ultimo ventennio, ma pur sempre negativi.  Il 2024 è stato un altro anno difficile per i ghiacciai valdostani, sentinelle dei cambiamenti climatici. Oltre all’innalzamento delle temperature, soprattutto nei mesi di luglio e agosto, si ipotizza che a incidere sul loro arretramento siano stati anche i numerosi episodi di sabbia trasportata dal Sahara che si sono verificati durante l’anno. A spiegarlo è William Boffelli della Fondazione Montagna Sicura, durante il convegno “La montagna di ghiaccio“,  che si è tenuto verdì 13 novembre, al Forte di Bard.

Secondo sugli ultimi dati del report “SottoZero”, elaborato dalla Cabina di regia dei ghiacciai valdostani, nel 2024 il bilancio di massa dei ghiacciai valdostani segna una perdita di 850 millimetri di acqua equivalente. Il numero è migliore degli ultimi due anni e della media dell’ultimo ventennio, ma peggiore rispetto al 2021, nonostante le precipitazioni siano state più abbondanti e le temperature meno sfavorevoli. Perché? “Ci può essere stata un’influenza delle polveri sahariane – dice Boffelli – che sono cadute copiose e a più riprese sia nella stagione tardo primaverile che in quella estiva, influenzando l’ablazione”, ovvero la perdita di massa. Depositandosi sui ghiacciai, questa sabbia proveniente dalle zone desertiche “diminuisce l’albedo della neve, ovvero la riflettività, provocando un aumento dell’assorbimento dei raggi solari e quindi della fusione anche del 20%”.

Nel 2024 i ghiacciai si sono ritirati di 12,5 metri

Le fronti dei ghiacciai valdostani si sono invece ritirare di 12,5 metri. Lo scorso hanno lo stesso dato raggiungeva i 14,5 metri. Il permafrost, ovvero lo strato di suolo o roccia che rimane congelato per almeno due anni consecutivi, ai 3.100 metri del colle superiori delle Cime Bianche, la scorsa estate si è scongelato di 6,9 metri, il 28% in più della media storica.

Le precipitazioni hanno invece raggiunto i 991 millimetri, il 7% in più rispetto alla media 2020-2022. Raggiunge, invece, il 23%  la crescita della precipitazione cumulata annua di neve fresca, pari a 480 centimetri. Numeri che si traducono in 1.220 milioni di metri cubi di risorsa idrica nivale, ovvero la quantità di acqua presente nella neve, maggiore del 13% rispetto alla media.

Sul fronte della temperatura, in attesa del dato medio annuo, nel report si legge che l’estate è stata più calda di 0,3°C rispetto alla media 2022-2023. Il termometro ai 4.450 metri di quota della parete nord del Cervino, ha segnato in media -11,90°C, in crescita di 0,02°C rispetto alla media.

Studiare la memoria dei ghiacciai: il progetto “Ice Memory”

Strati ghiacciati che diventano pagine di storia dell’umanità. Studiare la memoria dei ghiacciai estraendo profonde carote di ghiaccio permette di viaggiare nel tempo, ricostruire l’evoluzione del clima salvandola dal loro arretramento. È questo il cuore del progetto di ricerca internazionale “Ice Memory”, che nel 2023 ha fatto tappa sul Colle del Lys, nel massiccio del Monte Rosa, a Gressoney-La-Trinité.

Con una macchina carotatrice, sono state prelevate due carote di ghiacciaio della profondità di 106 metri che permetteranno di ricostruire l’evoluzione del clima e dell’ambiente negli ultimi 200 anni, “con una grandissima definizione temporale – spiega Fabrizio De Blasi dell’Istituto di Scienze Polari del Consiglio nazionale delle ricerche -. Possiamo, ad esempio, ricostruire la temperatura estiva e quella invernale”. Le due carote sono state estratte tra l’11 e il 14 ottobre 2023, stoccate in un container e portate a Venezia per essere analizzate. Una sarà conservata in Antartide.

“Non abbiamo ancora iniziato le analisi ma una cosa interessante è che alla base di questo ghiacciaio abbiamo trovato uno strato molto diverso rispetto a quello che si trova sui ghiacciai alpini – conclude De Blasi -. Abbiamo trovato 10-20 centimetri di acqua ricongelata mista a una matrice di sedimento che gli dà quel colore ocra. L’interpretazione che siamo è che in quel punto potesse esserci nel passato non un ghiacciaio ma un lago o una torbiera. Quando riusciremo a datare la carota potremo capire a che epoca risale questa datazione e se si inserisce nel periodo dell’optimum climatico, 9.000 o 10.000 anni fa, in cui le Alpi erano quasi completamente sgombre di ghiaccio”.

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