Sembra un paradosso. Tra le imprese valdostane più grandi, i rapporti di lavoro part-time riguardano in larga maggioranza le donne, le stesse su cui incide di più il lavoro straordinario. È quanto emerge dall’indagine sull’occupazione maschile e femminile nelle imprese valdostane con più di 50 dipendenti relativa al biennio 2022 e 2022 presentata questa mattina, venerdì 7 marzo, nella sala conferenze della biblioteca regionale di Aosta, dalla consigliera di parità della Regione, Katya Foletto, e da Dario Ceccarelli, direttore dell’Osservatorio economico e sociale.
Dai dati forniti dalle 87 imprese che hanno partecipato al questionario, risulta che in Valle d’Aosta i rapporti di lavoro part-time riguardano il 18% dei lavoratori delle aziende che superano i 50 dipendenti ma con “una notevole differenza tra donne e uomini“. Nel primo caso, infatti, i part-time pesano per il 41%, mentre nel secondo incidono solo per il 5%. “Il tasso di femminilizzazione dei rapporti part time sfiora l’81%“, si legge nell’indagine, e raggiunge il 47% nel settore dei servizi. Non solo. Delle 1.300 occupate part-time, circa 1.100 sono a tempo determinato.
Si tratta di una scelta volontaria o obbligata? “I dati disponibili non ci consentono di fare affermazioni precise – spiega Ceccarelli -, ma mettendo in relazione i casi di elevato utilizzo del part-time e di elevato ricorso al lavoro straordinario si possono fare delle ipotesi”. Dal confronto, emerge, infatti, che il lavoro straordinario interessa prevalentemente le occupate donne con contratti part-time. Quasi il 75% del lavoro straordinario è infatti svolto da donne, il 28% – quasi tre volte di meno – dagli uomini.
Per Ceccarelli, si tratta di “una risposta alla maggiore esigenza di flessibilità della imprese che tocca di più le donne che gli uomini”. “Ci sono varie forme di part time che arrivano anche al 95% – aggiunge Foletto -. Sarebbe interessante vedere che tipologia di part-time applicano le imprese per capire perché si ricorra allo straordinario. Sembra in controtendenza tenere il personale a part-time e poi ricorrere allo straordinario. Il tema andrebbe indagato più a fondo”.
Anche le trasformazioni dei rapporti di lavoro variano in base al genere. Per gli uomini riguardano principalmente la stabilizzazione (78,2%) con il passaggio dal tempo determinato al tempo indeterminato, mentre per le donne interessano soprattutto il passaggio dal part-time al tempo pieno. Il tasso di femminilizzazione delle stabilizzazioni è, infatti, del 25%, quello relativo al passaggio al tempo pieno è del 65%. “Questa disponibilità delle donne a lavorare per più tempo rafforza l’ipotesi che una parte del lavoro part-time è involontario“, afferma il direttore dell’Osservatorio economico e sociale.
Nonostante ciò, qualche lento segnale di miglioramento verso la parità di genere nel mondo del lavoro c’è. Rispetto al 2019, la differenza tra il tasso di occupazione femminile e quello maschile, pur rimanendo negativa, si è ridotta dell’1,3%, attestandosi al 7,3%, la più bassa tra le regioni italiane. Tra il 2022 e il 2023, l’occupazione nelle grandi imprese è salita del 5,9%, con le occupate donne che sono cresciute del 6,8%, più degli occupati uomini (5,4%). Il dato si ribalta se si guarda al lungo periodo, dal 2020 al 2023.
Altri segnali positivi riguardano la crescita del lavoro a tempo indeterminato, anche se più lenta per le donne che per gli uomini, trainata dallo smartworking, una riduzione del ricorso al part-time e al tempo determinato e un minor divario di genere per dirigenti e quadri. Rimane invece importante il divario retributivo a svantaggio delle donne, che in Valle è dell’11%. “Anche se il contratto è unico, il problema della diversità delle paghe orarie tra uomini e donne è dato dalle differenze nelle componenti accessorie del salario che sono a discrezione dell’azienda”, dice Ceccarelli. Il gap è più ampio nel settore dei servizi e degli operai, minore nei settori dell’agricoltura e dell’industria.
Anche i livelli di turnover sono più elevati per la componente femminile, sia in ingresso che in uscita e anche sul fronte della formazione, le donne ne beneficiano meno degli uomini nei settori dove sono più presenti, come l’istruzione, la sanità, il commercio, i trasporti e la ristorazione. I dati raccolti confermano la minor dinamicità delle carriere femminili. Solo una promozione su quattro riguarda una donna e il gap coinvolge tutti i profili professionali.
L’indagine si sofferma anche sull’inclusione. Dai dati raccolti, i lavoratori con disabilità rappresentano il 3,5% degli occupati totali, in crescita tra il 2022 e il 2023 dell’8,5%. Risultano più stabili, ricorrono maggiormente al part-time, in particolare le donne, e beneficiano maggiormente dello smartworking.
Una risposta
La domanda nel titolo cosa vuol fare intendere? Se le donne lavorano meno degli uomini i casi sono soltanto due: o hanno meno voglia di lavorare degli uomini oppure sono obbligate. E’ ovvio che sono obbligate. Di figli se ne fanno pochi, ma chi è madre si trova da sola oppure deve sperare di avere un nonno disponibile. Il supporto sociale e legislativo a una maternità è scarsissimo, a cominicare dai prezzi e dagli orari degli asili. Di conseguenza anche l’interruzione di carriera o la flesibilità diventa obbligata. D’altra parte prendete il bilancio regionale e guardate quanti soldi si spendono per gli anziani e quanti per i giovani in servizi pubblici. E’ un paese orientato agli anziani. Sentite un partito o un sindacato che si preoccupi dei giovani? Il tema quotidiano sono le pensioni. Quindi le donne, anche in quanto madri sono penalizzate, non riconosciute. Per cui la domanda è: cosa possiamo fare per ridurre queste differenze?