In occasione del Tour de France, la rubrica “Incontri ravvicinati con AIACE” pedala lungo un itinerario speciale: quello dei film che hanno celebrato la bicicletta, trasformandola in simbolo di libertà, resistenza, scoperta o poesia.
E.T. di Steven Spielberg, disponibile su Netflix o a noleggio
USA, 1982, fantastico

Non è un film sul ciclismo, le due ruote a pedali e senza motore non sono il centro del racconto o dello stile visivo del film. Eppure, la potenza iconografica del film è tutta in quel volo che una bicicletta compie davanti a una gigantesca luna piena, al termine di una corsa collettiva per fuggire dalla polizia, o meglio dall’età adulta. Perché la bicicletta, come raccontano tanti film, è anche il simbolo dell’infanzia e dell’adolescenza, dell’avventura per diventare grandi o, al contrario, per fuggire dalle paure della crescita.
Elliott e l’alieno col volto di bimbo creato da Carlo Rambaldi, in sella o nel cestino, corrono via dai genitori che divorziano, dallo stato che vuole catturarli e studiarli, da color che nel film restano perlopiù senza volto (come in un cartoon di Tom e Jerry), ovvero gli adulti, e la magia della loro fuga e racchiusa in quella corsa liberatoria, l’apice di una relazione d’amicizia che supera ogni barriera e ogni limite, prima di infrangersi sullo scoglio delle parole. “Vieni”. “Resta”. Poche lettere capaci di commuovere intere generazioni a ogni singola revisione: Spielberg ha creato l’immagine di un intero decennio e l’ha resa mitica attraverso i raggi di una bicicletta.
IL POSTINO di Michael Radford e Massimo Troisi, disponibile su Amazon Prime Video
Italia,Francia, Belgio, 1994, commedia/romantico

Nel 1994, il celebre attore napoletano Massimo Troisi morì nella sua residenza a Roma a causa di una grave malattia cardiovascolare. Avrebbe dovuto sottoporsi a un intervento chirurgico, ma decise consapevolmente di rimandarlo a lavorazione ultimata di quello che sarebbe stato purtroppo il suo ultimo grande film: Il postino. Il film racconta la storia di Mario, un uomo che vive in una piccola isola del sud Italia, che intraprende un incarico come postino privato di un celebre poeta cileno che risiede temporaneamente nell’isola: Pablo Neruda. Mario e il poeta diventano buoni amici e nel frattempo Mario si innamora di una giovane barista del paese, Beatrice. Mario si sposta da un punto all’altro dell’isola con la sua bicicletta, elemento centrale della pellicola. La bici è a tutti gli effetti la stretta e fedele compagna di Mario; il mezzo che lo accompagna nei paesaggi magnetici del film. Lo spettatore viene completamente immerso nella storia del film, percependo la fatica a ogni pedalata in salita verso la casa del poeta. Troisi morì, ma lasciò però in eredità al pubblico un meraviglioso film che odora di mare e olio per freni.
CHIAMAMI COL TUO NOME di Luca Guadagnino, disponibile su Netflix
Italia, Francia, Brasile, USA, 2017, drammatico, sentimentale

Estate 1983, da qualche parte nel Nord Italia. Il film si apre così, catapultandoci nelle meravigliose atmosfere degli anni ‘80: le musiche, la spensieratezza, i colori…I protagonisti sono due ragazzi: Elio e Oliver. Elio è un diciassettenne timido e riservato figlio di genitori Italo-americani il cui padre, archeologo, è solito ospitare ragazzi e ragazze per degli stage estivi. Oliver, il nuovo arrivato, è un ragazzo americano ventiquattrenne estroverso e carismatico. I due ragazzi iniziano a frequentarsi tra feste, nuotate nel lago, escursioni, ma soprattutto lunghe pedalate insieme. Una delle scene più emblematiche del film è proprio quella in cui i due fanno un giro in bicicletta e si fermano davanti a un monumento in memoria dei caduti del Piave. Qui, Elio trova il coraggio di dichiararsi a Oliver anche se non in maniera non esplicita. In questa scena si assiste alla prima e timida presa di coscienza di un adolescente sul suo orientamento sessuale. Un film attraversato da emozioni e sentimenti forti: desiderio, scoperta, attrazione, ma anche la paura di uscire allo scoperto in un’Italia degli anni ‘80 ancora fortemente giudicante su certi temi.
THE PROGRAM di Stephen Frears, disponibile a pagamento su Amazon Prime Video, Apple TV e YouTube
UK, Francia, 2015, biografico, drammatico, sportivo

The Program, il biopic sul ciclista americano Lance Armstrong tratto dal libro inchiesta del giornalista sportivo David Walsh, prende il suo nome dal meticoloso e sofisticato programma di doping con cui si è potuto realizzare il più grande imbroglio della storia sportiva recente. L’ascesa e la caduta di uno degli sportivi più amati a cavallo tra gli anni novanta e duemila è il fulcro della pellicola del regista premio Oscar Stephen Frears: dagli inizi stentati per via di un fisico non adatto a vincere in bici, al cancro che lo ha messo alle corde fino alla sua guarigione e alla grandezza con i sette Tour de France consecutivi conquistati dal 1999 al 2005 (poi revocati dall’Unione Ciclistica Internazionale per doping).
Ciò che si ricava dalla visione del film è il ritratto di un individuo in equilibrio precario tra mania di grandezza e fragilità, una personalità egocentrica con un bisogno patologico di vincere, che trasforma in presunta verità una bugia raccontata per tanto tempo (“Non sono mai risultato positivo ai farmaci che aumentano le prestazioni“). Armstrong, qui interpretato da un ottimo Ben Foster, è riuscito per anni a far credere che le sue imprese ciclistiche fossero tutte frutto della sua indomita forza di volontà e preparazione, anche grazie alla sua immagine promossa di eroe sportivo redento dal cancro e filantropo.
Anche se con una conclusione forse un po’ affrettata, The Program lascia un punto interrogativo etico sullo sport (e in generale sulla vita): cosa si è disposti a fare pur di raggiungere l’eccellenza nel proprio campo? E’ giustificabile sacrificare la propria integrità per questo? L’onestà ha ancora un qualche valore nella società? Di sicuro, che siate appassionati di ciclismo o meno, la sua visione non vi lascerà indifferenti.
APPUNTAMENTO A BELLEVILLE di Sylvain Chomet
Francia, 2003, animazione

Sarà un caso, o forse no, ma i due film definitivi sulle due più grandi corse del ciclismo mondiale, il Giro d’Italia e il Tour de France, sono due film comici e tutt’altro che realistici: “Totò al Giro d’Italia” e “Appuntamento a Belleville”. Il secondo è addirittura un film animato, diretto da quel genio di Sylvain Chomet, un perfezionista che tra un film e l’altro impiega una decina d’anni. Ispirandosi alle illustrazioni d’epoca e al mondo di Jacques Tati – che imperniò il suo primo lungometraggio, “Giorno di festa”, proprio su un ciclista postino – il film racconta la storia di Champion, un ragazzino somigliante a Fausto Coppi che cresce con il mito della bicicletta, si allena per partecipare alla Grande Boucle e, quando vi riesce, viene rapito. Lo cercano la nonna e un trio di vecchie glorie della canzone francese, Les triplettes de Belleville.
Al di là dell’esplosione di idee, trovate e invenzioni, grafiche o comiche, di cui il film abbonda senza sosta per un’ora e venti, il film si fa notare per la descrizione dello spirito agonistico del ciclismo, fuori dalle spettacolarizzazioni del cinema tradizionale: uno sport fatto di abnegazione, fatica, sudore, un’impresa inumana, letteralmente, tanto che Chomet ha bisogno dei disegni, dell’incorporeità di un cartoon per renderla credibile.
PEE-WEE’S BIG ADVENTURE di Tim Burton, disponibile su AppleTV
Stati Uniti, 1985, commedia

Pee Wee è un uomo fuori dall’ordinario, lo si potrebbe definire un bambinone. Vive in un mondo tutto suo, con una casa invasa da giochi, giocattoli, gadget e strane invenzioni. La serietà è bandita, ma c’è una cosa che prende molto sul serio: la sua bellissima bicicletta rossa, la bici più invidiata di tutta la città. Una brutta mattina, Pee-Wee scopre che la bici è stata rubata e si lancia così in un viaggio in giro per gli Stati Uniti alla ricerca della sua adorata due ruote. Incontrerà personaggi variopinti tanto quanto lui e le strane avventure non mancheranno.
Insospettabile lungometraggio d’esordio di Tim Burton, il regista gotico per eccellenza, che qui dirige tra mille colori e stelle filanti Paul Reubens, comico televisivo famoso per la longeva serie per bambini ‘Pee-Wee’s playhouse”, il film è un road movie dall’altissima carica comica che ha regalato alla storia non poche scene cult (la scena al bar dei motociclisti è iconica) e che sarà apprezzato da grandi e piccini. Se la carica di follia di Pee-Wee vi conquista, su Netflix trovate anche un altro film, “Pee-Wee’s Big Holiday”.
Una risposta
E perché non
LA LIBERTÀ CORRE SUI PEDALI
di LIBERA e UISP VALE D’AOSTA?
È visibile su YouTube:
https://youtu.be/DX_nUxdYVbc?si=VrhmQ7Q_mfdOW5cf