Qualità dell’aria in Valle d’Aosta: l’Arpa racconta l’impatto della pandemia attraverso uno studio

Che aria respiriamo, com'è cambiata la situazione durante i periodi di chiusura e qual è l'impatto delle diverse sorgenti emissive che hanno un'influenza maggiore sull'aria che respiriamo. Queste sono le domande alle quali il nuovo studio condotto da Arpa Valle d'Aosta ha cercato una risposta.
meteo in valle d'aosta
Ambiente

I periodi di lockdown totale dell’anno scorso hanno portato ad un cambiamento nelle abitudini, nei consumi di energia, e nelle modalità e quantità di emissioni nell’atmosfera. Per questo motivo l’Arpa Valle d’Aosta ha deciso di compiere uno studio, pubblicato giovedì 5 agosto sulla rivista scientifica “atmosphere”, riguardo alla qualità dell’aria nella nostra regione relativo al 2020.

Attraverso le prime rilevazioni, i ricercatori hanno scoperto che, a causa di specifiche condizioni metereologiche della Valle, si tende a sottovalutare l’impatto delle chiusure e dell’emissione di inquinanti. Infatti nella nostra regione, nonostante la buona qualità dell’aria, alcune particolarità della conformazione del territorio e degli effetti metereologici creano una condizione unica.

L’elemento più influente è la conformazione dell’area orografica del Po’ che favorisce lo spostamento di masse d’aria provenienti dalla pianura padana verso l’arco alpino e la loro stagnazione. In Valle sono presenti inoltre specifiche fonti di inquinamento tipiche del territorio, come ad esempio la pratica di bruciare le sterpaglie così diffusa nella nostra regione. Inoltre, le polveri sottili (o“PM”) hanno un impatto notevole sul delicato equilibrio degli ecosistemi alpini e, in Valle d’Aosta è possibile osservare in che modo entrano all’interno del ciclo dell’acqua attraverso fonti e ghiacciai.

Le monitorazioni dell’Arpa non si sono limitate ad analizzare le condizioni dell’aria nel nostro spazio di vita, ma riguardano tutta l’atmosfera sovrastante. In questo modo è stato anche possibile comprendere meglio gli effetti del “buco dell’ozono” che si è verificato al polo nord durante la primavera del 2020, parzialmente disceso sull’Europa meridionale.

Come affermano Henri Diémoz e Tiziana Magri, fisici di Arpa e coordinatori dello studio, “Questo lavoro dimostra quanto sia importante dedicare competenze, tempo e risorse all’analisi dei dati, per interpretare correttamente le misure ottenute nell’ambito delle attività di monitoraggio operativo. In questa occasione abbiamo anche sviluppato nuovi metodi di indagine che rimangono disponibili per il futuro. Monitoraggio e ricerca sono attività inseparabili”.

I numeri

Alcune fonti di emissioni sono decisamente diminuite come ad esempio il traffico, o il risollevamento di polveri grossolane al passaggio di automobili o prodotto di attività industriale. Altre fonti invece sono aumentate, come ad esempio, l’apporto di inquinanti provenienti dalla Pianura Padana (+20%) a causa dell’aumento dei venti provenienti da sud-est. Altre ancora, come il riscaldamento domestico, sono rimaste invariate offrendo la possibilità di quantificare con più efficienza il loro impatto.

In particolare, gli ossidi d’azoto (o “NOx”), emessi attraverso i gas di scarico delle automobili sono diminuiti fino all’80% nel periodo marzo-aprile 2020, rispetto a uno scenario senza restrizioni, e fino al 60% nel periodo di novembre-dicembre 2020. Le polveri sottili mostrano diminuzioni minori, ma comunque rilevanti, fino al 25% nel primo lockdown e del 10-15% nel secondo, ma solo se le condizioni meteorologiche vengono correttamente tenute in considerazione.

Le quantità di ammonia (NH3), proveniente dalle emissioni del settore agricolo, sono rimaste invariate dato che queste attività non sono state limitate durante il periodo di lockdown. Infine, la concentrazione di ozono (O3) è aumentata di circa il 30%. Questo cambiamento si può ascrivere alla diminuzione delle emissioni di ossidi d’azoto e agli effetti che ne sono conseguiti.

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