Nel 2020 le culle sono rimaste vuote in 8 comuni valdostani, in cinque di questi già nel 2019 la cicogna non aveva fatto consegne e in tre è da tempo ormai che non si vede.
Anche negli altri comuni valdostani il 2020 non ha visto un’inversione di tendenza sulle nascite. Il baby boom da lockdown, atteso per la fine dello scorso anno, non si è verificato. Anzi, rispetto al 2020 c’è stato un ulteriore calo di 65 unità. Le 776 nascite nel 2020 (841 nel 2019) sono state meno della metà dei decessi del 2020 (1814). E anche il 2021 sembra essere in linea con 545 neonati (dati provvisori gennaio – settembre).
Nel 2020, come testimonia l’Istat, non c’è stato alcun fiocco rosa o azzurro ad Allein, Bionaz, Chamois, Doues, Rhêmes-Notre- Dame, Rhêmes-Saint-Georges, Saint-Denis e Valsavarenche.
Allein e Saint-Denis non hanno registrato nuove nascite neppure l’anno precedente. A Rhêmes-Saint-Georges è dal 2017 che non si festeggia l’arrivo della cicogna, nella vicina Rhêmes-Notre Dame bisogna tornare indietro al 2013, mentre a Chamois l’ultimo nato risale al 2014.
Ben di più sono i comuni, non tutti di montagna, in cui negli ultimi anni i bambini nati sono stati poche unità, facendo presagire la chiusura dei servizi, in primis delle scuole, laddove ancora non sono già a servizio di più comuni. La legge regionale 22 del 1972 prevedeva che “le scuole, con un numero di iscritti inferiore alle 10 unità, saranno istituite soltanto nelle località nelle quali risulterà impossibile organizzare il trasporto degli alunni in centri ove funzioni o dove si possa istituire una scuola più idonea sotto il profilo didattico ed organizzativo.”. In alcuni casi, legati a dei correttivi introdotti, il numero minimo di dieci è stato superato. La stessa legge del 72 prevedeva nelle zone isolate o di montagna il numero minimo di bambini è di 5 frequentanti, diventati tre con un accordo sindacale raggiunto nel 2009.
Per il 2022 ha già alzato bandiera bianca la scuola di Ruelle di Montjovet, la cui chiusura verrà compensata dalla riapertura della scuola di Emarèse, comune considerato di montagna. L’anno scorso a dover arrendersi di fronte al calo demografico, ma anche alle scelte dei genitori di iscrivere i figli nelle scuole del fondo valle, era stato il comune di Perloz, che ripiegò su un servizio sperimentale. Lo stesso a cui guarda ora con interesse il Comune di Champorcher, che ha visto tre bambini nati nel 2018, zero nel 2019 e uno nel 2020. “Per il momento stiamo facendo dei ragionamenti” dice la sindaca Alice Chanoux. “Cercheremo per quanto possibile di mantenere il servizio”. Difficile la situazione anche in un altro comune di montagna, Valgrisenche (2 nati nel 2020, zero nel 2019 e uno nel 2018). “Per il momento siamo concentrati sul bilancio, poi a febbraio, numeri alla mano, affronteremo la questione. L’anno scorso sulla primaria siamo stati fortunati perché una famiglia francese con due bambini si è trasferita qui” racconta la prima cittadina Aline Viérin.
I numeri non sorridono neppure a Jovençan (4 nati nel 2020, 3 nel 2019, 5 nel 2018), Villeneuve (6 nati nel 2020, 6 nel 2019 e 7 nel 2018), Chambave (7 nati nel 2020, 3 nel 2019, 9 nel 2018), Champdrepraz (3 nel 2020, 7 nel 2019 e uno nel 2018), Issogne (7 nel 2020, 8 sia nel 2019 che nel 2018), Pontey (8 nel 2020, 7 nel 2019 e 5 nel 2018), Saint-Marcel (4 nel 2020, 8 nel 2019 e 13 nel 2018) e Brissogne, dove per tre anni dal 2017 al 2019 i nuovi nati sono stati 7 e soltanto nel 2020 si è tornati a dieci.
Tra le cause del calo dei primi figli, secondo l’Istat, c’è la prolungata permanenza dei giovani nella famiglia di origine, a sua volta dovuta a molteplici fattori: il protrarsi dei tempi della formazione, le difficoltà che incontrano i giovani nell’ingresso nel mondo del lavoro e la diffusa instabilità del lavoro stesso, le difficoltà di accesso al mercato delle abitazioni, una tendenza di lungo periodo di bassa crescita economica, oltre ad altri possibili fattori di natura culturale.
2 risposte
In Italia fare figli è quasi una colpa… a parole tutti proclamano il valore della famiglia ma nei fatti non è affatto semplice avere orari flessibili al lavoro o ottenere un part-time, senza contare le molteplici difficoltà in caso di sciopero a scuola o di malattia ed ora aggiungiamo gli isolamenti per COVID. Fortunato chi può contare sui nonni (donne e nonni sono il vero welfare in Italia!) o su un ricco conto in banca… Eppure ci sono tanti paesi europei in cui la vita per le famiglie è più semplice… potremmo avere anche noi genitori meno stressati e bimbi più seguiti e più sereni… e soprattutto più natalità
La permanenza dei giovani nella famiglia di origine non è una causa ma una conseguenza, non mi sembra neanche cosi anormale che dei giovani e meno giovani che non si fanno una famiglia rimangano più a lungo con i genitori e nella famiglia d’origine (anche per fattore sociale ed affettivo, tra l’altro nelle nostre valli la solitudine si fa molto più sentire che non in contesti urbani e in zone molto abitate).
Per il resto ok il fattore lavoro/economico che sicuramente influisce tantissimo ma influiscono parecchio anche questi fattori socio-culturali (e non solo altri “possibili” fattori culturali). Non se ne parla abbastanza ma basta aprire gli occhi: diciamolo chiaramente… i rapporti ormai sono molto precari, ci si separa e si divorzia dopo pochi anni (tra l’altro la valle ha un incidenza di divorzi tra i più alti d’Italia), penso che tanti preferiscono, giustamente, rinunciare ad avere figli…. che poi, senza moralismi, ma avere dei figli ,divorziare, poi avere altri figli con partner diversi – e fare ammucchiate di famiglie allargate -vi sembra una cosa cosi “normale”? sicuramente un figlio ha bisogno di una maggiore stabilità ….. penso che questi fattori di “precarietà” sociale incidano parecchio sulla scelta di avere figli o meno (oltre poi all’aspetto economico)