Illogicità e errori nelle valutazioni di fatto. Sono i vizi che, secondo il difensore di Stefano Corgnier, titolare del bar “Crazy Fox” di Aosta, presenta la sentenza del Tribunale di Aosta con cui il 42enne valdostano è stato condannato, lo scorso 21 dicembre, a 9 anni e 2 mesi di carcere. L’accusa era di tentato omicidio e, nell’impostazione accusatoria, l’imputato aveva colpito un conoscente con un coltello dentro al locale, il 30 marzo 2022.
Per l’avvocato Matteo Iotti del foro di Reggio Emilia, che ha depositato da pochi giorni il ricorso in appello, tuttavia, i fatti sono andati diversamente. In particolare, tesi sostenuta dallo stesso condannato sin dai primi passi delle indagini, la colluttazione che si è accesa nel “Crazy Fox” va vista non come un attacco premeditato dell’imputato all’altro ragazzo, ma come la risposta all’aggressione perpetrata nei confronti di Corgnier dal giovane ferito, poi costituitosi parte civile nel processo (lo assiste l’avvocato aostano Corrado Bellora).
Alla luce di questa lettura, il difensore chiede alla Corte d’Appello che, all’esito del secondo grado di giudizio, la condotta di Corgnier venga riconosciuta quale legittima difesa (e, pertanto, non punibile), o – in subordine – sia riqualificata nel reato di lesioni personali, rideterminando la pena in modo da contenerla al minimo previsto.
Secondo il difensore, se l’intento di Corgnier fosse stato aggredire l’altro giovane per ucciderlo, avrebbe potuto utilizzare dei coltelli disponibili nel bar, anche con lame più importanti rispetto allo “stiletto” al centro dei fatti. Ciò, nel ragionamento sviluppato nel ricorso, sosterrebbe la tesi per cui l’arma non era dell’imputato, che l’aveva tolta al giovane rimasto ferito.
Il coltello era stato sequestrato dai Carabinieri in ospedale, dove i due contendenti erano stati portati per le rispettive ferite. Al processo aostano, l’imputato aveva spiegato che “non ci stavo con la testa” e che “in Pronto soccorso ho fatto una cavolata”. Il riferimento era al tentativo, su cui aveva testimoniato un militare intervenuto, di occultare l’arma nella cassetta dello scarico di un bagno del “Parini”.
Un gesto dettato – nella versione di Corgnier a dibattimento – dall’aver pensato che, in forza dei guanti che ha riferito essere indossati dal contendente, “sul coltello ci fossero le mie impronte e sarei passato per colpevole”. Il ricorso sottolinea, al riguardo, sia come sull’arma non siano stati compiuti accertamenti tecnici per individuare tracce di sangue o impronte digitali, sia come le dichiarazioni di due testimoni (sui guanti che il ferito avrebbe portato durante i fatti) non siano state considerate in sentenza.
Infine, la tesi dell’avvocato Iotti è che, qualora il suo cliente fosse stato mosso da un intento omicida, si sarebbe rivelato implausibile scegliere, per compiere tale proposito, il proprio bar, rischiandone la chiusura o l’arrivo di altre persone, visto che è situato nel centro storico. Peraltro, è un altro tema dell’impugnazione, il colpo riportato dal contendente aveva direzione opposta a quella necessaria per rivelarsi mortale.
Un dato che, unito alla sua profondità (la lama è penetrata per minima parte rispetto ai suoi undici centimetri), indica agli occhi del difensore come il fendente sia stato inferto semplicemente per porre fine all’aggressione subita da Corgnier, rappresentando l’azione strettamente necessaria per rendere inoffensivo l’aggressore. L’udienza per la discussione del ricorso, che si svolgerà a Torino, deve ora essere fissata.