Casinò di St. Vincent: perché per la Procura “rien ne va plus”

L’istanza fallimentare del pm Ceccanti poggia sull’insolvenza delineata in più passi della relazione del CdA uscente, nonché su accertamenti della Guardia di finanza relativi anche a numerose consulenze affidate.
CASINO
Cronaca

La richiesta di fallimento della “Casinò de la Vallée” SpA depositata oggi, mercoledì 7 novembre, dal pm Luca Ceccanti trae origine, anzitutto, dalla situazione “fotografata” – attraverso la relazione consegnata ai soci (Regione e Comune di Saint-Vincent) – dal Consiglio d’Amministrazione dell’azienda, dimessosi il 25 ottobre scorso.


Le considerazioni del CdA

Un gesto motivato dalla sostanziale impossibilità di garantire un’efficace opera di risanamento della società, in ragione dei suoi sintomi evidenti di crisi. Le dodici pagine sottoscritte da Manuela Brusoni, Sara Puglia Muller e Maurizio Scazzina (due di loro sentiti in via Ollietti proprio nel pomeriggio dell’abbandono) conclamano, per la Procura, la situazione di insolvenza del Casinò.

In merito, l’ufficio diretto da Paolo Fortuna fa sue le considerazioni degli amministratori uscenti sugli indicatori di bilancio dai quali emergono: l’incapacità della società ad adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni (condizione che il CdA sancisce già dal 2017), la sua insolvibilità nel breve periodo, l’incapacità di soddisfare le ragioni creditorie dei fornitori a corto termine, nonché lo squilibrio finanziario e la “sottocapitalizzazione” dell’azienda.

Inoltre, non manca di registrare la Procura, dal bilancio al 31 dicembre 2016 emerge un flusso di cassa negativo di 36 milioni 299mila euro (a fronte di ricavi dichiarati per 63 milioni 300mila euro), valore ritenuto significativo considerando l’’attività concretizzata da entrate liquide e prestiti a breve orizzonte nei confronti dei clienti.


L’impossibilità di risanare

L’insieme di questi indicatori non consentirebbe, nella visione del Pubblico ministero, alcun risanamento dell’azienda, anche nell’ipotesi di un’operatività significativa, peraltro in contrazione a causa dei mutati assetti di mercato (su tutti, l’incidenza crescente dei giochi “online”). Al riguardo, rilevante viene giudicata la costante riduzione dei ricavi, passati dai 67 milioni 811mila euro del 2015 ai 60 milioni 557mila dell’anno in corso.

Nemmeno il bilancio corrente andrebbe – in via Ollietti – oltre una parvenza di ottimismo, perché il positivo di 1 milione 229mila euro allo scorso giugno non terrebbe conto di costi stimati pari a circa 12 milioni di euro. In sostanza, i debiti appaiono di gran lunga superiori alle risorse finanziarie disponibili per farvi fronte, con una sofferenza di circa 11 milioni.

Tale condizione viene attribuita, nella lettura della magistratura inquirente, ai costi del Casinò rimasti elevati, soprattutto quelli della gestione del personale. A tal proposito, esaustivo si qualifica l’originario piano di fuoriuscita di 250 dipendenti, sostituito con la procedura di esodo prevista dalla “legge Fornero”, che ha portato – proprio per la sua onerosità – alla riduzione di sole cinquanta risorse.


Le verifiche delle Fiamme Gialle

La situazione messa nero su bianco dal Consiglio d’Amministrazione uscente ha trovato sostanziale conferma nelle analisi delegate dal Pubblico ministero al Gruppo Aosta della Guardia di finanza, comandato dal tenente colonnello Francesco Caracciolo. Tali riscontri fanno ritenere alla Procura impossibile l’accesso della Casa da gioco a nuovi finanziamenti bancari, viste le riduzioni e gli azzeramenti degli affidamenti decise da tre istituti di credito (“Banca Intesa”, “Unicredit” e “Passadore”) tra il febbraio e l’agosto scorsi.

Su questo aspetto, le Fiamme gialle rilevano anche l’inadempienza del Casinò a due rate del mutuo “Finaosta” da 20 milioni acceso nei suoi confronti, per un totale di poco inferiore al milione. Insomma un’insolvenza diffusa, al punto da incarnare, per il pm, i presupposti ai quali è subordinata la dichiarazione di fallimento. Una condizione di cui sarebbero imbevuti tutti i piani operativi della società, cioè quello patrimoniale (l’attivo non sarebbe in grado di coprire le passività), economico (i ricavi decrescenti, inidonei ad affrontare i costi, non farebbero ravvisare una prospettiva di equilibrio) e finanziario (l’azienda non riuscirebbe ad adempiere le proprie obbligazioni alla loro naturale scadenza).


Le consulenze continue

Alla situazione critica, nell’analisi del sostituto procuratore Ceccanti si affianca l’affidamento, nel biennio 2017/8, di consulenze, per un valore complessivo di oltre 3 milioni di euro, a società e professionisti esterni. Una circostanza su cui l’ufficio inquirente non cela perplessità, derivanti in particolare dall’oggetto degli incarichi, che apparirebbero svolgibili direttamente dal personale del Casinò. Significativi anche i contratti per servizi per la parte casa da gioco (per 5 milioni e 585mila euro) e per l’ambito alberghiero (2 milioni 717mila).

Tra le singole voci, 2 milioni e 60 mila euro sono relativi agli accordi (uno di co-marketing e l’altro legato ai tornei di poker) con la “De Vere Concept”. Rilevanti inoltre i “temporary management” della gestione alberghiera, congressuale e centro benessere (118mila euro) e della gestione risorse umane (118mila euro), nonché i contratti per un ampliamento della sala fumatori (741mila euro) e per un servizio di trasporto del denaro in occasione delle operazioni di conta dello stesso (207mila euro).

L’inammissibilità del concordato

Alle criticità valutate quali strutturali si aggiunge quindi, nel mosaico composto dal pm, un’emorragia di fondi, per contratti e consulenze, che contribuisce ad una lettura omogenea dello stato di crisi irreversibile del Casinò. La richiesta di concordato in bianco depositata, negli scorsi giorni, dall’amministratore unico in carica Filippo Rolando, secondo la legge, non preclude l’istanza fallimentare del sostituto Ceccanti, ma inibisce al Tribunale la possibilità di decidere in proposito.

Qualora la domanda di concordato della governance del Casinò fosse dichiarata inammissibile (condizione che, per la Procura, sarebbe concretizzata dalla non approvazione del bilancio al 31 dicembre 2017 della società), o nel caso in cui l’attuazione di tale procedura non andasse a buon fine, i giudici del Tribunale dovrebbero quindi esprimersi sull’istanza di fallimento.

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