Casinò, la Corte dei Conti conferma in appello la condanna per 18 politici
Era il verdetto più atteso dalla politica valdostana ed è arrivato a distanza di nove mesi dall’udienza. La terza sezione centrale d’appello della Corte dei Conti a Roma, nella sentenza depositata il 30 luglio , ha confermato le condanne per 18 consiglieri regionali (in carica ed ex) in relazione al danno erariale nei finanziamenti erogati da piazza Deffeyes al Casinò. Rispetto a quanto deciso nel precedente grado di giudizio sono stati tuttavia ridotti i risarcimenti dovuti alla Regione dai condannati: da 30 milioni si è scesi a 16.
In particolare, Augusto Rollandin, Mauro Baccega ed Ego Perron sono chiamati a rifondere 2,4 milioni di euro a testa (contro i 4 milioni e 500mila del primo grado). 586.666 euro, poi, il risarcimento disposto a carico di Aurelio Marguerettaz e Marco Viérin (era, in origine, di 3 milioni di euro). Stessa cifra per gli altri tredici amministratori di oggi e ieri, che dovranno versare all’amministrazione regionale 586.666 mila euro a testa (anziché 807mila). Si tratta di: Luca Bianchi, Stefano Borrello, Joël Farcoz, David Follien, Antonio Fosson, Giuseppe Isabellon, Leonardo La Torre, André Lanièce, Pierluigi Marquis, Marilena Péaquin, Claudio Restano, Emily Rini e Renzo Testolin.
La sentenza d’appello (grado di giudizio conclusivo nelle cause contabili) rende, inoltre, definitive le assoluzioni già pronunciate dai magistrati della Sezione giurisdizionale della Valle d’Aosta nei confronti dei tre ex componenti del Consiglio Valle Albert Lanièce, Raimondo Davide Donzel ed Ennio Pastoret, nonché del dirigente regionale Peter Bieler. Il processo sul danno erariale nei finanziamenti regionali al Casinò era iniziato l’11 luglio 2018 (con sentenza nell’ottobre dello stesso anno). A seguito del ricorso, l’appello, inizialmente previsto nell’aprile 2020, era poi stato rinviato al successivo 14 ottobre per la sospensione dell’attività giudiziaria causata dal Covid-19.
Nelle motivazioni della sentenza i giudici ribadiscono come la delibera dell’ottobre 2014, con cui il Consiglio Valle dispose l’aumento di capitale della società Casinò non era un atto di natura politica perché l’Assemblea regionale “non ha agito in relazione ad un fine generale di indirizzo, ma quale soggetto che si è occupato di un interesse concreto e specifico“.
Sulla sindacabilità della scelta, compiuta all’epoca dai singoli consiglieri, la terza sezione centrale d’Appello guidata dal Presidente Luciano Calamaro osserva come la Corte dei conti “può e deve verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini dell’ente pubblico, partendo dalla verifica dei criteri di economicità ed efficacia che assumono rilevanza non sul piano della opportunità, ma su quelli della legittimità dell’azione amministrativa e consentono, in sede giurisdizionale, un sindacato di ragionevolezza sulle scelte dell’Amministrazione, onde evitare la deviazione di queste ultime dai fini istituzionali”.
Inoltre nel giudizio avviato nei confronto degli amministratori regionali “non è stata censurata l’attività politica dei Consiglieri regionali, di per sé insindacabile, ma il comportamento che ha condotto all’adozione di un atto amministrativo con il quale è stata perfezionata una precisa e determinata scelta gestionale”. La sentenza evidenzia poi come “la situazione di grave difficoltà finanziaria della società era nota a tutti i consiglieri che hanno scelto la via della ricapitalizzazione mentre avrebbero potuto e dovuto valutare altre soluzioni e possibilità”. Fatto quest’ultimo che determina l’elemento soggettivo della colpa grave.
“I consiglieri regionali che hanno deliberato l’aumento di capitale – si legge in sentenza – erano pienamente coscienti della situazione finanziaria della società, del suo continuo peggioramento, nonostante i finanziamenti erogati nel 2012 (30 milioni di euro) e nel 2013 (10 milioni di euro”, delle criticità del bilancio nel quale erano state allocate indebitamente imposta anticipate”. Nel “delineato e caratterizzato contesto”, per i magistrati contabili, “il loro comportamento si è rivelato gravemente imprudente e privo della necessaria diligenza che deve caratterizzare l’azione del funzionario pubblico, onorario o di carriera, nella gestione dei beni pubblici che gli sono stati temporaneamente affidati”.
Nell’appellare la sentenza di primo grado la Procura regionale aveva chiesto nuovamente di considerare “dolose” le condotte degli amministratori regionali provato “dall’iscrizione nel bilancio dell’esercizio 2011 della società controllata Casino de La Vallèe S.p.A. di imposte anticipate per euro 4.034.409, circostanza che aveva determinato un risultato di esercizio positivo pari ad euro 3.344.000,00, con incidenza favorevole anche sul risultato degli esercizi successivi. In sostanza, l’indebita iscrizione nel bilancio di imposte anticipate ed il mantenimento delle stesse per più esercizi avrebbe comportato un sostanziale “occultamento doloso” della reale situazione finanziaria della società.” Motivo dichiarato inammissibile perché del “doloso occultamento”, non vi sarebbe traccia nell’atto di citazione del 17 gennaio 2018. Nel giudizio di primo grado la questione relativa all’appostazione di imposte anticipate nel bilancio della società controllata, “era stata richiamata quale elemento costitutivo dell’illecito e non dell’elemento soggettivo”.
Peraltro, l’appello presentato dalla Procura regionale alla sentenza dell’ottobre 2018, è stato dichiarato inammissibile dai giudici della Sezione centrale, perché “non è incentrato sulla critica argomentata alla sentenza impugnata, ma sull’introduzione di nuovi e differenti elementi di contestazione”, finalizzati a “sostenere la certezza ed attualità del danno, negata dal primo giudice, in base ad una configurazione dell’illecito contestato agli appellati diverso rispetto a quello delineato” nella loro originaria citazione a giudizio.
La terza sezione centrale d’Appello ha inoltre disposto, nei confronti dei condannati, la conversione in pignoramento del sequestro conservativo disposto dalla Sezione giurisdizionale per la Valle d’Aosta nell’aprile 2018 (ai consiglieri citati a giudizio erano stati “bloccati” conti, depositi e beni immobili), “nei limiti della condanna risultante dalla presente sentenza”. I valori posti originariamente “sotto sigillo”, in alcuni casi, risultano sufficienti a coprire il danno sentenziato dai giudici di appello. Altri, dovranno integrare, fino a raggiungere il versamento complessivo indicato in sentenza.