Con il virus “dobbiamo alzare il prezzo”: le trame dei pusher di “FeuDora”

27 Maggio 2020

“Minchia non c’è niente in giro, son tutti, sono tutti affamati”. Gli effetti del lockdown, con l’impossibilità di uscire dalla regione, sono drammatici sul mondo della tossicodipendenza valdostano. Ne parla, il 26 marzo scorso, quando le restrizioni erano in vigore da diciotto giorni, Giuseppe Mauri Zavaglia, 44enne di Aosta tra le dieci persone finite ieri in manette nell’operazione antidroga “FeuDora” della Guardia di Finanza. È a casa di Giuseppe Nirta, 68enne di San Luca (Reggio Calabria) considerato il vertice del “giro” di cocaina ed eroina sgominato dal “blitz”, al quale spiega che “è dalle 7 e mezza di stamattina che mi chiamano, che mi mandano messaggi”.

Non immagina che le voci nell’alloggio del quartiere Dora siano ascoltate dai militari e illustra al suo referente anche la soluzione ideata per approvvigionarsi di stupefacente, che il Gip Giuseppe Colazingari, nell’ordinanza con cui ha disposto le misure cautelari, sintetizza in “recarsi ‘giù’ (verosimilmente a Torino)”, sfruttando, per superare il blocco della mobilità interregionale, “un passaggio”. I due, nella lettura degli inquirenti, hanno anche un altro problema: l’eroina disponibile nei giorni della “fase 1” non pare di grande qualità, tanto che Nirta afferma “…non so che materiale era” e Zavaglia conviene: “no no cambia totalmente, è diversa, è appiccicosa, non so che ci mettono dentro…”.

Comunque, il presunto vertice della “piramide criminosa” dipinta dall’operazione del Gruppo Aosta è categorico: “adesso essendoci la cosa, il virus, dobbiamo alzare il prezzo”. Anche in questo caso, Zavaglia è d’accordo: “sì sì ma infatti già oggi, oggi 70/80 (il prezzo abituale al grammo era stato valutato dalle “Fiamme gialle” in 60 euro, ndr.). Non di meno perché è inutile”. In quelle ore, però, il lockdown dà (anche) altri pensieri al 44enne: “no so come chiudere una partita Iva, non so come fare, adesso che è tutto chiuso non ti fanno niente”. Motivo dei grattacapi? “Io devo chiuderla questa partita Iva, perché se no risulto come artigiano e se c’è qualche aiuto dello Stato non me lo danno”.

La consegna durante il lockdown

Per quelle parole, e dopo aver accertato che nove dei dieci arrestati fossero titolari del reddito di cittadinanza (il decimo non lo percepiva perché già titolare di una rendita di invalidità), oltre all’aspetto legato allo spaccio di cocaina ed eroina, le investigazioni della Guardia di finanza si stanno rivolgendo anche all’aspetto patrimoniale, alla ricerca di eventuali percezioni indebite di misure pubbliche da parte dei fermati. Tornando alla vicenda, il giorno dopo, venerdì 27, aver parlato con Zavaglia, è Nirta stesso a decidere di uscire da casa senza un “comprovato motivo”.

All’inizio del pomeriggio, l’uomo che i finanzieri hanno ricostruito essere il suo “numero 2” nella rete, cioè il 39enne Giuseppe Ficara (altro fermato ieri) gli dice: “Ascolta Pé, io ti faccio arrivare Danielino qua sotto che lo vedi ti porta lì e ti riporta qua”. Parliamo di Daniele Ferrari, 40 anni, che carica in macchina il 68enne e si dirige con lui verso Charvensod. Alle 14.30, i due “incappano” in un posto di controllo Covid-19 dei finanzieri, che sanno di aver fatto “bingo” e non solo per il verbale sullo spostamento non autorizzato: Ferrari ha in tasca un panetto da quasi mezzo chilo di eroina.

Nella successiva perquisizione, spunta poi un mazzo di chiavi riconducibile ad un garage di Plan Félinaz di proprietà di un’altra persona, ma “nella disponibilità dell’indagato”. I militari lo controllano e, annota il Gip, “in un tosaerba che Nirta ha dichiarato essere suo” saltano fuori altri 465 grammi di stupefacente in due involucri di cellophane, un coltellino e un bilancino. I due finiscono arrestati in flagranza di reato e sono ancora oggi in carcere. Per chi era tutta quella droga? Per i militari e il pm Francesco Pizzato, che ha coordinato l’inchiesta sotto la direzione del procuratore Paolo Fortuna, in parte sarebbe dovuto andare ad altri due arrestati nell’operazione.

“Io c’ho una testa di merda”

Si tratta di Massimo Penti (49 anni) e di sua madre Adriana Chiambretti (68). Quest’ultima, in quegli attimi concitati, si “trovava ad Aosta nei pressi dell’abitazione di Giuseppe Ficara, in attesa che Nirta e Ferrari vi portassero la droga prelevata”. Lo conferma anche “Danielino”, senza troppe remore, una volta bloccato dai finanzieri: “il panetto che mi avete trovato addosso, doveva essere diviso. La maggior parte del pezzo era di Giuseppe Ficara e invece circa 30 grammi dovevano andare a Massimo Penti”. Quest’ultimo, a sera, non sa ancora dell’arresto, alla meglio lo sospetta: ha solo visto tornare a casa sua madre, dopo aver atteso invano, a mani vuote.

Andrebbe pure tutto bene, se non fosse che – come scrive il giudice – i due, per i 30 grammi di eroina pattuiti, hanno corrisposto “anticipatamente la somma di 3mila euro”. La cosa manda Penti su tutte le furie, che la sera alle 20 dice al telefono ad un conoscente: “io c’ho una testa di merda… [i soldi] li ho dati in mano a uno”. L’interlocutore è sbigottito: “non ci credo, ed è sparito”. “Io gli auguro a lui, glielo auguro veramente, per il suo bene – è la risposta – che sia finito a Brissogne”. Il giorno dopo, Penti, in un’altra conversazione, racconta la sua ricerca smodata di recuperare il denaro: “gli sono entrato in casa a uno questa mattina… giù la porta, sono entrato in casa”.

Inizia però a realizzare l’accaduto, perché l’amico gli chiede “dici che se lo sono asciugato?” (gergalità per indicare l’arresto, ndr.) e lui: “eh il telefono è spento, il cane è disperato, penso di sì”. Però, Penti non è disposto a demordere: “Eh volevo aspettare magari… una conferma, qualcosa, prima di entrare a casa anche dell’altro, anche perché l‘altro è pesante eh, quindi…”. La reazione è improntata alla cautela: “Eh ma devi capire prima appunto se è andata così o diversamente”. Penti: “Eh no certo, se è andata diversamente boh alzo le mani e va bene così, cioè quando succedono ‘ste cose va tutto perso e boh…”. Le ha alzate comunque, ma davanti ai finanzieri che gli hanno bussato alla porta all’alba per arrestarlo.

La droga sui camion

Da dove arrivavano cocaina ed eroina sequestrate in “FeuDora”? E’ l’aspetto dell’inchiesta cui è legato l’unico indagato a piede libero (gli altri sono sei in carcere e cinque ai domiciliari): Piero Favasuli, 52 anni, residente ad Africo (Reggio Calabria). I militari, seguendo Nirta, si rendono conto che il 9 febbraio scorso intraprende un viaggio verso la sua terra d’origine, dove rimane fino al 12. Nel soggiorno, informa la figlia “del fatto che le cibarie che comprerà arriveranno ad Aosta sabato 22 febbraio, poiché partiranno soltanto il mercoledì 19”. Per gli inquirenti, così come nelle telefonate dei pusher la droga era il vino (bianco o rosso, per “neve” o “ero”), quel riferimento è all’arrivo della partita di stupefacente.

La tecnica sembrerebbe quella già affiorata da un’altra indagine (“Altanum” dei Carabinieri, su di un traffico di Marijuana nel 2013): far viaggiare la “roba” sui camion che fanno la spola tra la Calabria e la Valle trasportando generi alimentari. Talvolta, anche all’insaputa dei loro autisti. Il sabato indicato, Nirta chiama un amico per dirgli che il mezzo “sarebbe arrivato dopo un’ora e mezzo circa”. Pedinandolo, i militari lo vedono incontrarsi con un’altra persona “nei pressi di un grande camion telonato”, poi i due si allontanano e si recano a casa di uno dei due, “dove è sopraggiunto anche Nirta”.

Niente arresto per il “gancio” calabrese

Dopodiché, uno “è stato notato uscire e recarsi in giro per Aosta”, poi ha raggiunto gli altri a casa di Nirta al quartiere Dora, dove i due si erano intanto spostati (sempre sotto l’occhio dei finanzieri). “Qualche settimana più tardi, – scrive il giudice Colazingari al riguardo – Nirta informa Ficara che nel corso del mese sarebbero arrivati altri ‘due pacchi e mezzo’ (di stupefacente) e mette in relazione a tale arrivo la figura di ‘cugino’ (appellativo dedicato a Favasuli, ndr.), confermandone così il ruolo nell’approvvigionamento della droga”. Circostanze sulla base delle quali la Procura aveva chiesto la misura cautelare anche per il contatto di Nirta in Calabria, ma il Gip non ha accolto.

Se il riferimento “alla possibilità di chiamare ‘cugino’ per avere altro stupefacente” senz’altro può “generare sospetti” sul conto di Favasuli – si legge nel provvedimento di 157 pagine – è “certo che le conversazioni intercettate non contengono alcun riferimento a sostanza stupefacente o a denaro, così come non è dato sapere se effettivamente i pacchi prelevati” al camion “contenessero stupefacente”. Inoltre, Nirta e Favasuli dopo il 16 marzo risultano non avere più parlato al telefono, altro elemento che ha condotto al rigetto della misura cautelare sollecitata dagli inquirenti. L’inchiesta non è ancora chiusa e sui “viaggi” i militari comandati dal tenente colonnello Francesco Caracciolo sono dell’idea di non smettere di scavare.

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