Contenzioso con il Casinò, le somme dovute ai Lefebvre vanno rideterminate

La Cassazione, con una sentenza pubblicata ieri, ha accolto parzialmente il ricorso di due società della famiglia. Oggetto dell’impugnazione, il riconoscimento, stabilito nel 2020 dalla Corte d’Appello di Torino, di soli 212.500 euro a fronte di richieste per oltre 43 milioni di euro.
Cronaca

Quando sono trascorsi più di ventisette anni dall’inizio del contenzioso, una nuova pagina viene scritta nella “querelle” giudiziaria civile tra alcune società della famiglia Lefebvre, la gestione straordinaria della Casa da gioco di Saint-Vincent (in liquidazione, ma ancora in essere proprio per la causa in corso) e la “Casinò de la Vallée” SpA (attualmente in concordato). E’ stata infatti pubblicata ieri, mercoledì 22 febbraio, la sentenza con cui la Corte di Cassazione accoglie in parte i ricorsi di “Elle Claims” e di “Sitmar”, aziende del gruppo familiare romano, contro la decisione della Corte d’Appello di Torino che, nel novembre 2020, si era pronunciata sulla vicenda.

All’epoca, i magistrati piemontesi avevano stabilito che ad “Elle Claims” dovessero essere riconosciuti esclusivamente 212.500 euro, a fronte di pretese economiche per un totale di 43 milioni 606mila euro. Non solo, perché quella sentenza poneva a carico delle società dei Lefvebre il rimborso di spese processuali alla “Casinò de la Vallée” per un totale di oltre 414mila euro, più iva e altre voci. Per parte sua, la gestione straordinaria del Casinò avrebbe dovuto versare, per lo stesso motivo, 63mila 700 euro alla “Elle Claims”.

Decisioni impugnate, dinanzi alla Suprema Corte, da “Elle Claims”, con tutti gli altri protagonisti che hanno resistito nella causa, o presentato a loro volta ricorsi incidentali. La vicenda è complessa e non solo per il suo protrarsi nel tempo e quella attuale è la “coda” della diatriba. I Lefvebre avevano originariamente sollevato, a fine 1995, la presunta inosservanza del contratto stipulato tra la loro società “Sitav” (precedente concessionaria della Casa da gioco) e la Gestione straordinaria, creata dall’amministrazione regionale. Quell’intesa stabiliva che la famiglia concedesse in uso o in locazione al gestore subentrante, dal 1° luglio al 31 dicembre 1994, beni e strutture di cui era proprietaria per condurre il Casinò.

Nel lungo iter, fatto dei vari gradi di giudizio e di precedenti passaggi in Cassazione, era emerso che le somme pretese fossero relative a canoni e alle penali contrattuali previste per la restituzione dei beni locati. In uno dei passaggi più recenti della causa, la Suprema Corte aveva obiettato che non era stata presa in considerazione la “ritardata restituzione” di parte dei beni e rimandato alla Corte d’Appello per decidere proprio sul punto. Origina da quel passaggio la determinazione dei 212.500 euro, quale penale riconosciuta per uno solo dei beni in contenzioso, stabilendo una misura percentuale (l’1%) sulla cifra pattuita dal contratto del tempo, moltiplicandola per i giorni di ritardo.

Con il ricorso su cui la Cassazione si è pronunciata ora (l’udienza si è tenuta lo scorso 26 gennaio), “Elle Claims” e “Sitmar” eccepivano che i magistrati Torinesi avessero escluso la cumulabilità di penale e canone per il godimento degli immobili, riconoscendo solo la prima. A quella decisione la Corte d’Appello era giunta “perché il rapporto contrattuale, con riferimento ai beni immobili, non avrebbe natura di locazione”. E’ però, per la Cassazione, che ha ritenuto fondato l’appunto mosso dalle aziende, una valutazione con cui “il giudice del merito ha violato il vincolo derivante dalla sentenza di legittimità” precedente.

Altri due motivi di ricorso sollevati dalle società della famiglia legata alla crocieristica di lusso (e ritenuti fondati) riguardavano la scelta operata dalla Corte d’Appello di “delimitare in via interpretativa nell’ambito della penale prevista la porzione che corrisponderebbe al ritardo per la consegna dei beni immobili”. Secondo la Suprema Corte, “non si comprende quale sia la ragione giuridica che abbia presieduto al risultato interpretativo cui la corte territoriale è pervenuta”.

Partendo poi dall’esame di un’ulteriore censura introdotta da “Sitmar”, riguardante la misura di identificazione percentuale della penale, la Cassazione conclude che la stessa “risulta non comprensibile alla luce” di un precetto del Codice civile e che il giudice di meritò dovrà “procedere ad una nuova interpretazione della clausola relativa alla penale per il ritardo”. Da qui, pertanto, la riforma, sulle parti oggetto dei rilievi accolti, della sentenza del novembre 2020 e il rinvio alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, per pronunciarsi sulle questioni fondate (quindi per una nuova definizione delle partite economiche) e “provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità” (facendo quindi saltare la statuizione pregressa). E la causa si avvicina ai trent’anni di durata.

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