Corruzione VdA, Cuomo e Accornero condannati nell’appello “bis”

Il reato è stato derubricato dai giudici da corruzione per l’esercizio delle funzioni a traffico d’influenze illecite. Otto mesi di reclusione inflitti all’ex consigliere delegato del Forte di Bard e 5 mesi e 10 giorni all’imprenditore (pena sospesa).
Gabriele Accornero in una pausa dell'udienza.
Cronaca

Condanna, con derubricazione del reato e riduzione della precedente pena comminata. E’ la decisione della Corte d’Appello di Torino nel processo “bis” all’ex consigliere delegato del Forte di Bard Gabriele Accornero e dell’imprenditore Gerardo Cuomo. I giudici hanno inflitto 8 mesi di reclusione al primo e 5 mesi e 10 giorni al secondo, con pena sospesa per entrambi, per traffico d’influenze illecite e non per, contestazione per cui erano a processo, per corruzione per l’esercizio delle funzioni.

La sentenza è stata letta nella mattinata di oggi, giovedì 2 marzo. Durante la scorsa udienza, il 16 febbraio, la stessa Procura generale aveva richiesto l’assoluzione degli imputati “perché il fatto non sussiste”. Una richiesta cui, pur con presupposti diversi, si erano associati i difensori di Accornero (l’avvocato Corrado Bellora) e Cuomo (l’avvocato Alessandro Argento). Il nuovo giudizio di secondo grado era stato disposto dalla Corte di Cassazione nell’annullare, lo scorso 1° luglio, la condanna ad un anno di reclusione (pena sospesa) inflitta ai due imputati per corruzione per l’esercizio delle funzioni.

Il processo, noto come “Corruzione VdA”, era nato dalle indagini dei Carabinieri del Gruppo Aosta su vari episodi corruttivi nell’ambito di società partecipate regionali. La sentenza di primo grado era arrivata, dinanzi al Gup di Aosta, nel marzo 2019, quindi la Corte d’Appello di Torino si era pronunciata nel settembre 2021. Dei sette imputati iniziali, cinque erano usciti di scena definitivamente nell’arco dei tre gradi di giudizio, che hanno visto successive riforme del verdetto iniziale. Assolti o, come nel caso dell’ex presidente della Regione Augusto Rollandin, per effetto del’intervenuta prescrizione sui fatti contestati.

Restavano Accornero e Cuomo, per i quali la Cassazione aveva appunto stabilito il rinvio ad una diversa sezione della Corte d’Appello di Torino, di fronte alla quale il processo era ripartito all’inizio di questo mese. L’episodio rimasto da definire (da altri capi d’imputazione erano stati, a loro volta, prosciolti in passato) riguardava il pagamento, da parte del titolare del “Caseificio valdostano”, di una fattura di un artigiano che aveva svolto lavori a casa dell’ex manager del polo culturale della bassa Valle (dell’importo di circa 1.600 euro). Nell’impostazione accusatoria iniziale, un vantaggio recato dall’imprenditore al pubblico ufficiale, che avrebbe quindi “orientato” la sua azione a favore degli interessi del privato.

Gerardo Cuomo in aula.

Una tesi che non aveva convinto prima la Cassazione (che nelle motivazioni dell’annullamento aveva sollevato l’“assenza di una adeguata motivazione sulla verificata sussistenza di un nesso sinallagmatico tra l’utilità consistita nel pagamento della fattura” ed il “vantaggio che sarebbe stato promesso all’imprenditore Cuomo”, cioè l’ampliamento della sede della sua attività in locali già occupati da altre società partecipate della Regione e una successiva rinegoziazione dei contratti a condizioni vantaggiose) e, in questo procedimento, nemmeno l’accusa del giudizio “bis”, con il sostituto pg Marcello Tatangelo ad invocare l’assoluzione.

Motivando la necessità di un nuovo esame di secondo grado, la Suprema Corte aveva tuttavia sottolineato che, “in caso di assenza della spendita di competenze proprie”, da parte dell’allora manager, “andrà verificato se i fatti possano essere piuttosto ricondotti nella diversa ipotesi del traffico di influenze illecite”, riguardo al quale “va ribadito che lo sfruttamento di relazioni con il pubblico agente rende illecita la mediazione anche se l’intervento non è finalizzato alla commissione di un ‘fatto di reato’ idoneo a produrre vantaggi per il privato committente”.

“E’ una sentenza che mi sorprende, – commenta l’avvocato Bellora poco dopo la lettura del dispositivo – perché lo stesso pubblico ministero aveva chiesto l’assoluzione ‘perché il fatto non sussiste’. Abbiamo passato anni a difenderci da una corruzione, sostenendo che non sussistesse, e oggi i giudici ci dicono che il reato era un altro. Ne prendiamo atto e sicuramente proporremo nuovo ricorso per Cassazione a questa sentenza”. Il deposito delle motivazioni, che consentirà ai difensori di preparare l’impugnazione, è fissato entro il prossimo 30 aprile.

 

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