Definitivamente confermate dal Tar le interdittive antimafia contro due società edili di Aosta

Dopo i “no” alle richieste di decreto cautelare e di sospensiva, i giudici amministrativi hanno respinto i ricorsi depositati da “I.C.F. Srl” e “A.G.F. Srl” contro i provvedimenti del maggio 2016 del questore Pietro Ostuni.
Cronaca

Restano quattro le interdittive antimafia, all’ordine di altrettante società del settore edile con sede in Valle d’Aosta. Con le sentenze depositate lunedì scorso, 20 marzo, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Valle d’Aosta ha infatti respinto definitivamente (dopo i “no” di giugno e luglio 2016 alle richieste di decreto monocratico cautelare e di sospensiva degli atti impugnati) i ricorsi presentati dalle due ultime ditte colpite (“I.C.F. Srl” e “A.G.F. Srl” di Aosta) contro i provvedimenti emessi dal Questore Pietro Ostuni nel maggio 2016. Oggetto dell’opposizione erano anche alcuni atti preventivi e successivi (il rigetto dell’iscrizione alla “white list” dei fornitori degli enti pubblici e la revoca delle autorizzazioni regionali connesse con le attività estrattive ed ambientali).

Nelle due sentenze, oltre a sviscerare e ritenere infondate le censure formali sollevate dal difensore Andrea Giunti, i giudici ribadiscono, sul piano sostanziale, che “le misure interdittive antimafia, essendo a carattere preventivo, prescindono dall’accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell’esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con la pubblica amministrazione e si fondano sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente o, nel caso della Valle d’Aosta, dal Questore”. 

Tale valutazione “costituisce espressione di ampia discrezionalità che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati, visto che il potere esercitato è espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata”.

In tal senso, aggiungono i giudici, “la prospettazione offerta dalla parte ricorrente non è idonea ad inficiare la determinazione dell’Amministrazione”, perché “è stato accertato il ruolo determinante e di primo piano, tuttora attivo” di un dipendente di una delle due società, che nel 2004 venne condannato per aver portato in pubblico, seppur non in qualità di imprenditore, una quantità di candelotti di dinamite, violando così una legge del 1967 sulla cessione di materiale esplodente. Una fattispecie di reato individuata dalle norme “quale azione delittuosa strumentale all’attività delle organizzazioni criminali, che potrebbe far desumere un tentativo di infiltrazione mafiosa nel tessuto economico e imprenditoriale”.

Gli estensori delle sentenze chiudono poi ricordando, riguardo agli effetti delle interdittive, come “la libertà di iniziativa economica non sia assoluta, ma debba essere esercitata nel rispetto della legge e dei principi dell’ordinamento”. Il grado di appello delle sentenze del TAR è rappresentato dal Consiglio di Stato, al quale le due imprese edili potranno valutare se adire. Nel frattempo, resterà inibito loro qualsiasi rapporto economico con la pubblica amministrazione e, vista la revoca delle autorizzazioni regionali legate alle attività di estrazione ed ambientali, con limitazioni significative anche nei confronti di privati.

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