Incidente a Michel Chabod, imputati assolti per “il crollo non prevedibile”

Depositate le motivazioni della sentenza con cui, lo scorso 28 giugno, l’accusa di disastro colposo in relazione ai reati di frana ed attentato alla sicurezza dei trasporti è caduta per i sei chiamati a processo.
Tribunale di Aosta
Cronaca

Lette le motivazioni delle sei assoluzioni pronunciate lo scorso 28 giugno, le sensazioni emerse all’atto della sentenza trovano conferma. Gli imputati a processo per l’incidente occorso lungo una strada comunale di Villeneuve, il 16 marzo 2011, all’ingegnere Michel Chabod sono stati scagionati dall’accusa di disastro colposo in relazioni ai reati di frana ed attentato alla sicurezza dei trasporti perché il distacco del grande masso che finì sulla vettura del professionista, rendendolo gravemente invalido, è stato valutato dal giudice monocratico Marco Tornatore come un evento non prevedibile.

L’accusa era comune per tutti, ma la Procura aveva sollevato profili di responsabilità diversi. Luciano David, Augusto Rollandin e Berthod Carlo erano chiamati a giudizio in relazione ai lavori di ammodernamento del tratto stradale teatro del sinistro. Il primo era il progettista dell’opera, il secondo presidente della Giunta che approvò gli elaborati ed il terzo dirigente delle opere pubbliche. Il pm Eugenia Menichetti contestava loro di non aver svolto una caratterizzazione geologica della zona, ma per il giudice – al fine di giudicarli colpevoli – non era “sufficiente la prova che essi abbiano violato la normativa tecnica” sulle “indagini sui terreni e sulle stabilità dei pendii e delle scarpate”.

Sarebbe stato necessario, per affermarne la responsabilità, che “il distacco del masso si presentasse come un fenomeno in concreto prevedibile” al momento della progettazione dell’ampliamento (iniziata nel 1982 e conclusasi due anni dopo) ed anche dell’affidamento dei lavori (avvenuto nel 1989), cioè 27 e 22 anni prima dell’incidente. Per il magistrato, durante il processo sono emersi elementi “che conducono tutti, in modo unitario” ad escluderlo. In primo luogo, il fatto che “in tutta la storia della strada” non sono mai “stati censiti eventi di caduta massi o similari”. Dopodiché, nelle fasi attuative dell’intervento, “non vi era alcuna evidenza che il tratto ove è avvenuto il disastro presentasse profili di rischio o di pericolosità di qualsiasi genere”.

Quanto a Roberta Quattrocchio, a processo quale Sindaco di Villeneuve all’epoca (insediatasi nel maggio 2010), il giudice osserva come una cartografia degli ambiti inedificabili risalente al 1997 “era indiscutibilmente l’unica a disposizione”, perché una revisione della stessa era stata commissionata dal suo predecessore, ma non ancora predisposta (verrà approvata dalla Giunta regionale solo nel 2015). Da quella base, “le uniche informazioni disponibili” al primo cittadino qualificavano “l’area come a bassa pericolosità” e mai stata al centro di analoghi episodi pregressi.

Il Sindaco risultava, peraltro, essere “intervenuta con tempestività ed efficacia, nonostante fosse in carica da pochi mesi”, in altri punti del territorio comunale “laddove si erano verificati eventi che potessero costituire indice di una potenziale pericolosità” (come all’ingresso est dell’abitato di Villeneuve, a seguito di un crollo del novembre 2010). Elemento da cui il magistrato ricava la “diligenza del Sindaco nell’intervento di fronte a potenziali pericoli per la pubblica incolumità”, con la conseguenza che “è del tutto fisiologico il mancato intervento in un’area che non lasciava presagire alcun pericolo”.

Infine, per Gabriele Gianni e Anna De Santis, rispettivamente proprietario e usufruttuaria del terreno coltivato a vigne, a monte della strada tra Chavonne ed Aymavilles, su cui avvenne l’incidente, occorre “rilevare che la causa del distacco” del masso da 1,5 metri cubi “non è in alcun modo riconducibile all’opera dell’uomo o alla carente manutenzione dei terreni immediatamente adiacenti la scarpata”, ma all’erosione dell’ammasso in cui si trovava “il blocco lapideo precipitato sulla sede stradale”. Per tutti gli imputati, nelle rispettive qualità, pertanto, “il fatto non costituisce reato”.

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