La mafia al nord? “Rimossa, spesso in buona fede, ma anche per convenienza”
“Chi si candida deve avere l’orgoglio di metterci la faccia e parlare con la gente del suo programma. Se ti rivolgi alla ‘ndrangheta, per dei pacchetti di voti, fai un danno a te stesso anzitutto. Non fatelo, le forze dell’ordine oggi hanno strumenti con cui prima o poi vi beccano. Non fatelo, per la vostra dignità e per la dignità delle istituzioni che rappresentate”. E’ l’accorato consiglio su cui Enzo Ciconte, docente universitario all’Università di Pavia ha chiuso il suo intervento al seminario sulle infiltrazioni mafiose al nord tenutosi ieri, venerdì 8 ottobre, a palazzo regionale.
I candidati dai boss? E’ problema politico
Il punto, secondo il titolare della cattedra di “Storia delle mafie italiane”, è che “se hai uomini politici che si rivolgono alla ‘ndrangheta per cercare i voti, è un problema politico, prima che giudiziario”. La soluzione, quindi, compete alle forze politiche: “tu devi stare attento a chi candidi”. Un dato a cui si affianca che “la ‘ndrangheta non spara più, non ammazza” e “questo crea un problema serio”, giacché “siamo di fronte a una struttura criminale complessa, che non guarda solo ai soldi, ma vuole il potere: la compartecipazione delle scelte”.
Negazionismo e criminalizzazione
D’altronde, per Ciconte, “lo dicono le sentenze”, ormai “non sono gli imprenditori e gli uomini politici a cercare la ‘ndrangheta”, ma il contrario. “I primi – ha spiegato – per ottenere favori, ottenere utilità, fare le cose che non si potevano fare. I secondi per i voti”. Per anni, al nord, “si è pensato che il problema riguardasse solo il mezzogiorno”, con attitudini ispirate al negazionismo del problema (cui il docente ha ricondotto la teoria dell’“isola felice”), oppure alla teoria della criminalizzazione: “non ne devi parlare, di questi argomenti, perché criminalizzi l’intero territorio”.
Ad Aosta, ha evocato Ciconte, “a metà anni ‘90, Mauro Vaudano ci aveva provato. Disse ‘c’è una mafia di montagna’, che è anche una bellissima espressione. Gli consigliarono, in Procura, di stare più calmo, sennò danneggiava l’economia della Valle”. Per questo, “dobbiamo creare una nuova consapevolezza, di quello che è stata la mafia e di ciò che potrebbe accadere”. Senza dimenticare che “la mafia è arrivata qui negli anni ‘50 e ‘60, con la legge del soggiorno obbligato” e “con i trasferimenti dei detenuti mafiosi al nord”. Perché i mafiosi sono arrivati al nord? “C’erano i soldi”.
Non solo i soldi…
Non solo quelli, agli occhi dell’altro relatore della serata, il magistrato Roberto Tartaglia, per dieci anni in “trincea” alla Dda di Palermo. Il settentrione d’Italia offriva anche “una più facile occasione di sottovalutazione della questione e dei problemi”. Un contesto in cui – grazie alla “spaventosa duttilità operativa” delle organizzazioni criminali, che “nei momenti di cambiamento riescono a diluire la loro riconoscibilità più eclatante, cioè la violazione del codice penale” – la metastasi mafiosa ha potuto fare il suo corso.
Al nord, ha detto il magistrato (oggi è vicecapo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria), ci sono state “un po’ la sottovalutazione, un po’ la rimozione”, spesso “in buona fede”, ma anche, “ce lo dobbiamo dire, per convenienza”. Però, già nel 1984, nei verbali che portarono al maxiprocesso, Tommaso Buscetta disse al giudice Giovanni Falcone che, “sin dai tempi del prefetto Mori, elementi della mafia siciliana si erano trasferiti oltre i confini regionali”.
L’Internazionale delle mafie
Anni che hanno fatto sì che le indagini sulle mafie al nord “significhino parlare di ieri e di oggi”, ma “contemporaneamente dobbiamo avere lo sguardo allo scenario internazionale”. “Credo – è stato il richiamo del magistrato – sia uno scenario sempre più inequivocabile quello di una compensazione tra organizzazioni criminali internazionali, rispetto al riciclaggio”. L’antidoto? “Guardare alla cooperazione tra forze di polizia e alla revisione di alcuni trattati”.
Attenzione agli stereotipi
Sull’infiltrazione al nord, “gli stereotipi sono stati strumenti d’ausilio fantastici per la criminalità organizzata”, perché “se possiamo ritenere completamente superato quello sula riconoscibilità del mafioso, per come si veste o cammina”, si è infiltrato quello sulla “sua totale irriconoscibilità, per cui ‘sono uguali a noi’”. Ecco, “è altrettanto pericoloso”, dal momento che “fa passare che averci avuto a che fare fosse inevitabile”. “Ritengo che le situazioni ambigue – ha chiuso Tartaglia – si riconoscano ancora”. A quel punto, “si attivano gli strumenti della prevenzione”.
A breve l’Osservatorio permanente
L’appuntamento era promosso dal Consiglio Valle e dalla Presidenza della Regione, con la rete di enti Avviso Pubblico. In apertura, il presidente dell’Assemblea regionale Alberto Bertin ha annunciato che “entro fine mese, partirà l’iter che porterà all’istituzione di un Osservatorio permanente sulle organizzazioni criminali di stampo mafioso”. Uno strumento, ha aggiunto, “che, insieme a questi seminari informativi, ha l’obiettivo di diffondere maggior consapevolezza delle dinamiche di infiltrazione e radicamento mafioso e dei suoi effetti sul tessuto sociale e sull’economia”.
Il presidente Erik Lavevaz ha parlato di “tema che non dobbiamo avere paura di affrontare, e che chiede a tutti di allontanarsi sia da giudizi dati a priori, sia da semplificazioni inconciliabili con la complessità dell’amministrazione”. Per Roberto Montà, presidente di Avviso Pubblico, “oggi più che mai il tema necessita di molta attenzione, soprattutto di fronte alla crisi economica accesa e inasprita dalla pandemia da Covid-19”.
I prossimi seminari
Altri appuntamenti sono in calendario per il 22 ottobre (sul riciclaggio e l’usura) e il 19 novembre (sulle ecomafie e i reati ambientali) prossimi. La sensazione, a guardare il salone di ieri pieno nemmeno a metà (e già ridotto nella capienza per le limitazioni Covid), è che accanto agli amministratori (diversi i consiglieri regionali, ma pochi, per non dire del tutto assenti, quelli comunali) ed agli addetti ai lavori (rappresentanti delle forze dell’ordine e giornalisti) mancassero proprio i cittadini. Il seminario era anche in streaming e in diretta tv, quindi il dato fisico non risulta esaustivo, ma se l’obiettivo dichiarato è l’incremento di consapevolezza dei valdostani sul fenomeno, a quell’assenza i promotori qualche interrogativo dovrebbero dedicarlo.