“Le camere a gas? Una bufala”: chiuse le indagini sul 55enne di Saint-Vincent

La Procura conferma, per Fabrizio Fournier, che aveva installato sui cancelli di casa pannelli raffiguranti l’aquila nazista, l’accusa di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale.
cancello posto sotto sequestro a saint vincent - Foto Simone Fortuna
Cronaca

Oltre il cancello c’è di più. La Procura di Aosta ha chiuso le indagini preliminari a carico di Fabrizio Fournier, il 55enne finito all’attenzione degli inquirenti per i simboli nazisti sugli accessi della sua abitazione a Saint-Vincent, e l’accusa di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa si è arricchita, secondo il pm Francesco Pizzato, di altri elementi.

All’uomo viene, in prima battuta e come già noto, contestata l’installazione, sui cancelli d’ingresso dell’immobile in cui vive nella cittadina termale, di pannelli raffiguranti un’aquila “riconducibile a quella del Terzo Reich e a quella rappresentata nello stemma del partito nazionalsocialista tedesco”. Tale insegna era presente sia sull’accesso principale – in cui apparivano anche “due triangoli (di cui uno capovolto) analoghi a quelli utilizzati dal regime nazista per identificare per categorie” i prigionieri dei campi di concentramento – sia su quello pedonale.

La presenza dei simboli diffusasi nel settembre 2018, e giustificata dall’indagato con la passione per l’esoterismo, era valsa un provvedimento di sequestro dei cancelli eseguito all’inizio dello scorso gennaio, con l’apertura del fascicolo (i pannelli con le effigi erano stati successivamente rimossi, su autorizzazione della Procura). A questo filone dell’inchiesta vengono poi affiancati, nell’ambito della stessa ipotesi di reato, episodi della medesima matrice, emersi dall’attività investigativa condotta, nel frattempo, dalla Digos della Questura.

Esplorando il profilo Facebook di Fournier, gli agenti hanno infatti trovato un’immagine “che lo ritrae mentre effettua il saluto romano in un luogo pubblico” (davanti all’ingresso del collegio piemontese ove si è diplomato, ndr.) e “due video riferibili all’autore negazionista Robert Faurisson aventi a oggetto” contenuti che mettono in dubbio l’olocausto, “nonché asserenti che la Shoah è uno strumento propagandistico sionista”.

Dal materiale e dai dispositivi informatici prelevati durante le perquisizioni svolte all’epoca del sequestro, gli inquirenti hanno infine determinato che l’uomo ha inviato a sette persone – tramite la popolare applicazione di chat WhatsApp – messaggi con “link a filmati che fanno riferimento al pensiero negazionista” dello sterminio operato dal Reich. Collegamenti accompagnati da “messaggi, anche vocali, che ne sollecitavano la visione, allo scopo di comprendere il reale svolgimento degli accadimenti storici”.

Con un corrispondente, Fournier (noto come “Nazi” ai suoi amici, con i quali si lamentava di essere nato nel Giorno della Memoria) avrebbe anche sottolineato “che le camere a gas sono delle ‘bufale’ servite per far passare per ‘mostri’ persone che non lo sono state per niente, come ‘il grande Adolf Hitler’”. Episodi che, per la Procura diretta da Paolo Fortuna, vanno ben oltre la soglia della libera manifestazione del pensiero (tutelata costituzionalmente), sconfinando in un reato, cioé la propaganda di idee “fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico”, nonché l’istigazione “a commettere atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”.

Accuse contestate con l’aggravante di avere commesso i fatti “in modo che derivasse un concreto pericolo di diffusione” e, per quanto riguarda i cancelli, “in zona a elevato transito”: la pena per il reato contestato può così salire fino a 6 anni di reclusione. Difeso dagli avvocati Enrico Pelillo del foro di Bergamo e Danilo Pastore di Ivrea, cui è stato notificato, assieme all’indagato, l’avviso di chiusura delle indagini, Fournier ha ora venti giorni di tempo per chiedere di essere sentito dal pubblico ministero, o di compiere ulteriori atti d’indagine. A quel punto, la Procura deciderà se procedere con la richiesta al Gup del rinvio a giudizio. Sull’installazione dei cancelli aveva sporto una querela anche la comunità ebraica di Torino.

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