L’infiltrazione di ‘ndrangheta in Valle? Caveri: “Non si può negare quanto avvenuto”
L’infiltrazione della ‘ndrangheta in Valle d’Aosta? “Solo uno stolto potrebbe dire che non c’è stata. E non solo per le ragioni processuali che emergeranno da qui alla fine dei processi, ma anche per un degrado morale di cui siamo stati testimoni”. Parole dell’assessore regionale all’istruzione, Luciano Caveri, intervenuto nel pomeriggio di oggi, giovedì 4 marzo, aprendo la videoconferenza sul tema “La corresponsabilità oggi: noi, voi, loro”, in diretta dalla Cittadella dei giovani di Aosta per la “Settimana della legalità Bassa Valle”.
Ripercorrendo il tema, sull’onda di una esperienza politica “lunga, iniziata nel 1987”, l’assessore ha sottolineato che la ricerca di Presidenti ed Assessori da parte delle persone “fino a un certo punto non era un ‘do ut des’, era un rivolgersi alla politica nella sua funzione in servizio, se vittime di un’ingiustizia, se non erano in grado di capire qualche cosa, volevano capire meglio”. Ad un certo punto, però, “questo meccanismo si è fracassato per chi invece ha cercato il successo elettorale a dismisura, addirittura umiliando gli altri candidati, con cifre elettorali assolutamente straordinarie”.
“Questo – è stato ‘tranchant’ Caveri – è avvenuto evidentemente con un patto luciferino, in parte forse disvelato da alcune delle inchieste. Per cui non si può negare quanto avvenuto”. Nell’analisi dell’assessore “alcuni germi già presenti alla fine degli anni ’60 sono emersi in tutta la loro gravità” (ma “la grandissima maggioranza” della comunità calabrese “è fatta di persone oneste e corrette”), spingendolo a chiedersi: “Che cosa ha innescato una sorta di degrado morale rispetto al quale noi oggi dobbiamo, su questo, esprimere delle riflessioni?”.
Per Luciano Caveri, la risposta è nel fatto che, diversamente da quanto accaduto successivamente, “quando è nata l’autonomia i leader politici non erano preoccupati dei successi elettorali. Il loro carisma, la loro capacità, la loro forza di trascinare il mondo autonomista derivava dalla loro autorevolezza e non dal peso dei voti”. “Non è accettabile descrivere – è proseguito il ragionamento – la Valle d’Aosta dalla Liberazione, 1945, ad oggi, come una terra analoga alle sofferenze dell’Aspromonte, dove la ‘ndrangheta è un fenomeno, come dire, esistente”.
“La Valle d’Aosta, – ha concluso l’Assessore – nel dopoguerra e ancora oggi, ha nella popolazione un senso del dovere e della legalità, che certo bisogna trasmettere alle nuove generazioni”. Attenzione, però, a “mai fare di ogni erba un fascio. Non c’è niente di peggio oggi, in una sorta di vulgata, di un’autonomia speciale che potremmo buttare via”. “Si butta via l’acqua sporca”, ha sospirato il rappresentante della Giunta regionale, “ma non il bambino”.
La Procura: informazione è consapevolezza
Per un ragazzo, magari all’inizio del suo percorso scolastico alle scuole superiori,” informarsi su come le dinamiche inerenti alla legalità prendano il via e si sviluppino può risultare noioso”, rispetto ai “temi classici dell’educazione scolastica”, ma questo “consente di diventare consapevoli” e fornisce “la capacità di discernere le notizie, dalle quali noi siamo bombardati”. E’ l’analisi proposta dal sostituto procuratore Manlio D’Ambrosi, intervenuto in chiusura del dibattito di oggi pomeriggio.
Secondo il magistrato – a capo del tavolo interistituzionale per la prevenzione e il contrasto delle violenze nei confronti della persona e della comunità familiare, promosso dalla Procura della Repubblica – quest’azione di selezione informativa non va rivolta tanto “ ai classici mezzi d’informazione, che magari possono veicolare una notizia più o meno controllata, ma alle innumerevoli fonti di notizie che abbiamo oggi e che giocoforza sono non tutte controllate e non tutte controllabili”.
“Solo chi ha gli strumenti per poter discernere una notizia vera da una notizia falsa – ha affermato il pubblico ministero – può essere un cittadino informato, un cittadino che collabora all’interno della istituzione nella quale è inserito”. E “poter portare il proprio contributo libero vuol dire non precostituito da un’informazione sbagliata, vuol dire partecipato”, perché si sarà capaci di “far gruppo” rispetto alle “organizzazioni che si creano fin da ragazzi all’interno della scuola”. Soprattutto, “orientando il sapere appreso e trasformandolo in qualcosa di concreto per lo sviluppo della intera collettività”.
Quanto alla scuola, la sua importanza è data dall’essere “la seconda struttura sociale più importante di un’organizzazione”, laddove la prima è la famiglia. Se quest’ultima, fatta di regole non attribuite, ma auto-imposte,“fallisce è importante che ci sia la scuola”. Nel pianeta educativo, “quel coacervo di libertà, obblighi, diritti e facoltà vengono messi in relazione con gli altri soggetti, con gli altri ragazzi, con i professori”.
Insomma, “con un’organizzazione che può essere anche più ampia di quello che noi immaginiamo”. Per questo, ha aggiunto D’Ambrosi, “la scuola deve essere, in qualche modo, dura, nel senso di educare i ragazzi al rispetto delle regole”. Così facendo “ci consente di essere cittadini, fin dall’inizio, di una comunità che noi possiamo chiamare scuola, comune, regione, Stato, Unione europea, mondo”.
“Se si è liberi, se si è informati, si può realmente partecipare”. Basilare, per il perseguimento della libertà, ha ragionato il magistrato, è il ruolo dell’educazione civica nel sistema scolastico. Ed è importante che i ragazzi “attraverso lo studio dell’educazione civica, delle norme, dei loro diritti, delle loro facoltà, dei loro obblighi, imparino a confrontarsi con questa libertà”. Attraverso di essa, “si può veramente partecipare a quello che è un progetto costitutivo di un’organizzazione sociale”. In una parola, dare il proprio contributo al mondo.