Assolti “perché il fatto non costituisce reato”. È la sentenza che, attorno alle 13 di oggi, venerdì 28 giugno, il giudice monocratico Marco Tornatore ha pronunciato nei confronti dei sei imputati del processo penale nato dall’incidente del 16 marzo 2011, quando un masso piombò sull’auto dell’ingegnere Michel Chabod (oggi quarantaduenne) lungo una strada di Villeneuve, rendendolo gravemente invalido. L’accusa era, per i tecnici ed amministratori coinvolti, di disastro colposo in relazione ai reati di frana ed attentato alla sicurezza dei trasporti.
Gli accusati e le loro funzioni
Alla sbarra c’erano il geometra Luciano David, progettista dei lavori di ammodernamento del tratto stradale ove avvenne l’incidente, l’allora dirigente regionale delle opere pubbliche Carlo Berthod, il presidente della Giunta che approvò il progetto dell’opera Augusto Rollandin, il sindaco all’epoca del sinistro Roberta Quattrocchio, nonché il proprietario e l’affittuaria del fondo da cui cadde il masso, Gabriele Gianni e Anna De Santis.
Un giudizio tortuoso
Definire tortuosa la storia del giudizio è eufemistico. Le indagini condotte sull’accaduto hanno scaturito ben tre richieste di archiviazione del fascicolo aperto, da parte della Procura. L’ultima, in ordine di tempo, era stata però revocata (accadde nel periodo in cui l’ufficio inquirente era affidato al “reggente” Giancarlo Avenati Bassi) e il processo è così partito, con due imputazioni. A quella giunta sino a stamane si affiancavano, inizialmente, le lesioni personali colpose.
L’accordo per il risarcimento
Tale accusa è però venuta meno durante il giudizio. “Sospinti” anche della parallela causa civile (arrivata nel frattempo al grado d’appello, dopo una sentenza del Tribunale di Aosta totalmente favorevole a Chabod), Regione e Comune di Villeneuve hanno perfezionato e chiuso, nel luglio 2018, un’intesa con le parti civili del processo, che ha consentito alla vittima dell’incidente (ed alla sua allora consorte) di essere risarcito a sette anni dai fatti, con un milione e duecentomila euro.
In cambio, è arrivata la remissione della querela presentata dalla famiglia dell’ingegnere e dall’Assotrasporti, con la rinuncia ad ogni ulteriore richiesta, facendo uscire di scena i due enti pubblici (citati per la responsabilità civile) e “cancellando” un pronunciamento di pochi mesi prima del giudice di pace. Il processo è quindi continuato per la sola accusa di disastro colposo, alla base della quale vi erano elementi d’accusa quali il non aver effettuato una consulenza geologica prima di procedere ai lavori, unita all’assenza di interventi vista la prevedibilità dell’evento.
L’udienza di oggi
All’udienza di stamane, il pm Eugenia Menichetti ha chiesto la condanna per Quattrocchio (un anno e sei mesi di carcere), David (un anno e due mesi), Rollandin e Berthod (otto mesi a testa), invocando invece lei stessa l’assoluzione per Gianni e De Santis. Le difese, per sollecitare lo scagionamento degli imputati, hanno puntato molto su elementi soggettivi, ovviamente diversi a seconda della posizione.
“Perché il presidente della Giunta è imputato in questo procedimento? – ha tuonato l’avvocato Enrico Grosso, legale di Rollandin, assieme al collega Andrea Balducci – Non era Rollandin che doveva far fare la relazione geologica, che non era obbligatoria. Semmai, il responsabile di quel procedimento: l’assessore ai lavori pubblici o il dirigente”.
“La signora De Santis coltivava la vite, era la prima utente della strada. Se avesse percepito pericolo, lo avrebbe sicuramente segnalato”, ha quindi sottolineato l’avvocato Davide Meloni. “Al mio cliente si contesta l’omissione di caratterizzazione geotecnica, ma non poteva farla, perché è attività di tecnici specifici. La condotta di David si è esaurita nel 1984, quando ha consegnato il progetto”, sono state le parole del legale Barbara Giors.
A sua volta, l’avvocato Corrado Bellora ha sottolineato che “Quattrocchio era sindaco da otto mesi e mezzo. Il suo predecessore, stando ad una visura Celva, lo è stato per più di trent’anni. Come mai non è qui?”. Il legale aostano ha quindi citato, passando agli aspetti oggettivi dell’imputazione (in merito ai quali, udienza dopo udienza, sono stati sentiti anche numerosi consulenti tecnici), la terza richiesta di archiviazione, “a firma dell’allora pm Pasquale Longarini, che ha dato prova di gran buon senso”, secondo la quale “fatti colposi ce ne sono, ma non è un disastro”.
“Oggi hanno demolito il ponte Morandi. – ha aggiunto – Stamattina alle 9, in una coincidenza temporale incredibile, abbiamo visto cos’è un disastro colposo. Non questo”. Quanto alla prevedibilità dell’evento, su cui si è soffermato anche l’avvocato Claudio Soro (assistendo Berthod), “il masso era lì da millenni, secoli. Era ricoperto di muschio, tutt’attorno c’erano piante. Gianni non poteva sapere di cosa si trattasse, poteva essere uno spuntone di roccia” ha chiuso il legale Andrea Urbica, difendendo il proprietario dell’appezzamento.
I motivi delle assoluzioni
Il giudice Tornatore si è riservato, entro novanta giorni, il deposito delle motivazioni del verdetto odierno. La formula scelta per le assoluzioni (“perché il fatto non costituisce reato”) indica tuttavia, al netto delle argomentazioni di dettaglio, che non ha valutato presenti gli elementi soggettivi del reato contestato. In sostanza, ha considerato la caduta del masso un disastro, ma non prevedibile. Se raccontare una vicenda processuale significa, conoscendo il finale, dire cosa ne resterà, nel caso specifico (per quanto l’appello sia ancora possibile) il giudizio ha consentito il riconoscimento economico a una persona che ha avuto, in una manciata di secondi di un mattino come tanti, il corso della sua vita deviato per sempre.