‘Ndrangheta: fine della sorveglianza speciale per i fratelli Raso

La decisione dopo un nuovo esame, da parte della Corte d’Appello di Torino, del ricorso contro il decreto che, nel novembre 2017, aveva stabilito la misura di prevenzione a carico di Vincenzo (65 anni) e Michele (56) Raso.
Palazzo giustizia Torino
Cronaca

Dopo il rinvio deciso dalla Cassazione nello scorso giugno, la Corte d’Appello di Torino ha posto fine alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza nei confronti di Vincenzo (65 anni) e Michele Raso (56). È stato infatti accolto il loro ricorso contro il decreto del Tribunale di Aosta che l’aveva disposta (per cinque anni) nel novembre 2016, con conferma nel maggio dell’anno dopo dei giudici di secondo grado.

La Suprema Corte, cui i due destinatari del provvedimento si erano rivolti, aveva però stabilito che andasse dimostrata “l’attualità del pericolo” rappresentato dai fratelli, originari di San Giorgio Morgeto (in provincia di Reggio Calabria) e residenti in Valle. Da qui, il nuovo esame della questione, da parte di una sezione diversa della Corte d’Appello. Su questo punto, all’udienza dello scorso 9 novembre, il sostituto procuratore generale Giancarlo Avenati Bassi aveva richiesto un’integrazione probatoria rispetto alla pericolosità sociale dei due, istanza che è stata tuttavia respinta dai giudici.

Le vicende dei Raso s’intrecciano con quelle dell’impresa Edilsud dei fratelli Tropiano. La misura a loro carico era infatti scattata nell’ambito dell’applicazione, stabilita dal Tribunale di Aosta (e poi annullata dalla Cassazione), dell’amministrazione controllata all’azienda. Vincenzo (assistito nel ricorso dall’avvocato Carlo Laganà di Aosta) è un’ex operaio dell’impresa e Michele (difeso dall’avvocato Marcella Belcastro di Palmi) era stato condannato, per porto abusivo di armi, a venti mesi di carcere nel processo sulla tentata estorsione ‘ndranghetista alla ditta.

Secondo le indagini dei Carabinieri per quel procedimento, i titolari della Edilsud, all’epoca dei fatti (sette anni fa), si erano rivolti ai fratelli Raso quali “intermediari” con gli estorsori, che chiedevano il 3% sulla vendita alla Regione del parcheggio pluripiano dell’ospedale Parini (pagato 16,9 milioni di euro). Per i magistrati aostani, quell’intervento non era “semplicemente volto ad aiutare Tropiano Giuseppe ad individuare il gruppo criminale dal quale proviene la minaccia, ma, soprattutto, a trovare un accordo con il gruppo stesso”, anche sulla base di “una comune prassi di matrice ‘ndranghetista’”.

Fatti che erano valsi, ai fratelli Raso, un giudizio di “pericolosità qualificata” per entrambi, perché “indiziati di appartenenza ad una associazione mafiosa” (e per Michele anche di “pericolosità generica, perché indiziato di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso”), a seguito del quale era scattata la sorveglianza speciale. Per la Cassazione, tuttavia, le argomentazioni addotte a sostegno della valutazione si fermavano al 2011, senza dimostrare appunto “l’attualità del giudizio”. Tesi che, accogliendo il ricorso, il nuovo esame della Corte d’Appello ha confermato.

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