Era imputato di detenzione di materiale pedopornografico, ma è stato assolto perché “il fatto non costituisce reato”. Il pronunciamento del giudice monocratico Maurizio D’Abrusco, nei confronti di un 39enne aostano, è giunto dopo che il difensore ha prodotto un “verbale di esperimento” mirato a provare che le immagini ritenute dagli inquirenti di matrice pornografica minorile fossero, in realtà, state scaricate autonomamente dal browser web e memorizzate nella cartella “cache”, durante la visita di un sito a base di contenuti legittimi, e non oggetto di download deliberato e consapevole della persona finita a giudizio.
Il processo nasce nello scorso gennaio, dopo che i Carabinieri di Nus, nell’ambito delle indagini su un furto in alloggio (avviate dalla querela del derubato), sequestrano a casa dell’imputato, che ha precedenti per reati contro il patrimonio, un personal computer, assieme ad altra refurtiva. Su quell’elaboratore, il cui hard disk viene sottoposto ad analisi forensi, la Guardia di finanza individua e cristallizza trentasette files di immagini ritenute di contenuto pedopornografico. La procura distrettuale di Torino, competente per il reato, esercita così l’azione penale (delegata, per il processo, ai colleghi di Aosta) e il 39enne finisce a giudizio ad Aosta.
Nella discussione in aula, il pm Manlio D’Ambrosi chiede la condanna ad un anno e 4 mesi di reclusione. Il difensore, l’avvocato Valeria Fadda, arringa. Anzitutto, sottolineando che il pc non era parte del materiale rubato, quindi esponendo il “test” da lei compiuto. Navigando sul sito che appariva anche nella cronologia del suo cliente, e rimanendoci per circa un minuto, nella cartella “cache” (quella in cui il software per la navigazione immagazzina automaticamente alcuni contenuti delle pagine visitate, per velocizzare la navigazione) finiscono 35 immagini presenti sulla pagina web. Di nessuna ha effettuato direttamente il download, ma ci sono. Una tesi sulla base della quale chiede l’assoluzione del cliente.
La camera di consiglio del giudice non è breve e il pronunciamento che ne segue è assolutorio. Occorrerà attendere le motivazioni della sentenza, ma la formula “il fatto non costituisce reato” lascia presupporre che il ragionamento sullo scaricamento non deliberato, da parte dell’utente al pc, abbia convinto il magistrato. Ciò che è emerso dal giudizio, per quanto arrivato in un Tribunale di provincia, rilancia peraltro un tema sul quale, negli ultimi tempi, il dibattito è aperto, vale a dire la presenza di materiale almeno apparentemente illecito su siti legittimi di carattere pornografico, anche rinomati. Questa, però, è una storia ancora da scrivere.